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Visita Pastorale del papa in Mongolia

Intervista al parroco di Schuuwuu, un piccolo villaggio di battezzati. La terra dove sta sbocciando la Chiesa

Visita Pastorale del papa in Mongolia

Nel cuore della Mongolia, precisamente a Shuvuu, c’è una piccolissima comunità cattolica guidata da missionari salesiani che attende con gioia e trepidazione la visita di Papa Francesco, in occasione del 59esimo viaggio apostolico dal titolo “Sperare insieme” tra qualche settimana, esattamente dal 31 agosto al 4 settembre. Un viaggio che avrebbe voluto fare molti anni fa, nel 2003, già San Giovanni Paolo II; ma dovette rinunciare per problemi legati alla sua salute. Pertanto, Francesco sarà il primo Pontefice a visitare questo Paese asiatico. In vista di questo viaggio apostolico del Santo Padre, abbiamo raggiunto Fr. Jaroslav Vracovsky, il parroco di Shuvuu, una piccola comunità ecclesiale della Mongolia, per capire come si stanno preparando a questo evento e per conoscere la loro missione in questo Paese lontano, dove si registra la presenza di 25 sacerdoti missionari e due locali; 30 suore di diverse congregazioni e 1300 fedeli battezzati, sotto la guida del Cardinale Giorgio Marengo, Prefetto apostolico di Ulaanbaatar in Mongolia, il più giovane del mondo (49 anni).

Padre Jaroslav quanti sono i cattolici battezzati in Mongolia e particolarmente a Shuvuu?

Si contano 70 cattolici battezzati a Shuwuu, ma alcuni di loro sono già morti, altri sono andati in città o in campagna. Nella Chiesa non ci sono solo cattolici battezzati ma molti bambini e giovani, che stanno prendendo contatti per la prima volta con la Chiesa cattolica e con Gesù.

Che tipo di lavoro pastorale hanno fatto in questi vent’anni i diversi missionari che si sono alternati a servizio di questa Chiesa?

Il lavoro pastorale punta all’evangelizzazione, all’istruzione e allo sviluppo sociale. Attraverso l’assistenza ai poveri diffondiamo il Vangelo, in una terra come la Mongolia essenzialmente buddista e dedita allo sciamanesimo.

Nel 2005 una parrocchia cosentina costruì un forno per il pane proprio a Shuwuu, nella struttura pastorale e fece un corso alle donne del posto per preparare il pane e la pizza. È ancora attivo? Si conserva il ricordo?

La costruzione di una fattoria e di un forno, insieme ai corsi organizzati per le donne, hanno dato un grande aiuto alla gente del posto. Il forno ha funzionato bene per molti anni. Poi la pandemia ha creato nuove esigenze per la distribuzione ed è rimasto solo a servizio di pochi. Sono anche emersi nuovi bisogni, per prima cosa la necessità di istituire centri educativi per i bambini per fargli recuperare le lezioni perse a scuola a causa del Covid. A quel punto si è deciso di puntare sull’istruzione dei bambini. Qui è ancora vivo il ricordo di quella missione calabrese, della costruzione del forno, dei vostri giovani e del corso per fare il pane.

Quali sono le difficoltà che si incontrano nella proposta del Vangelo?

La gente qui è aperta alla parola del Vangelo, ma ancora non c’è nessuna tradizione cristiana. Quella di oggi è la prima generazione di cristiani in Mongolia. Purtroppo le famiglie non hanno grandi esempi da seguire per aderire al cattolicesimo, neanche da parte dei parenti. La loro fede è fragile. C’è bisogno di molta pazienza e di buoni esempi per far sì che la gente locale possa trarre ispirazione e aderire alla Chiesa cattolica.

Essere minoranza come stimola la Chiesa e i battezzati?

Il Regno di Dio è come il lievito. Anche un piccolo numero di fedeli può fare la differenza in un piccolo paese, in una città o in tutta la società.

Ci racconta un po’ della sua esperienza vocazionale?

Non mi ero mai prefissato l’obiettivo di fare il missionario in Mongolia. Vengo dalla Repubblica Ceca, quindi pensavo di lavorare come missionario già nella mia terra. Ma nel 2014/2015 ho ricevuto la chiamata di seguire Gesù come salesiano, recandomi nei luoghi dove c’è più bisogno. Chi mi ha ispirato? Papa Francesco con il suo Evangelium Gaudium e molti volontari missionari con cui mi sono formato per un decennio. Dio ancora ci chiama. Non possiamo essere sordi alla sua chiamata!

Come la sua comunità sta aspettando il Papa e cosa vi aspettate dal successore di Pietro?

Le attenzioni del Papa sono rivolte agli ultimi, ai più deboli e a chi è senza voce. Questo è probabilmente uno dei motivi per cui verrà in Mongolia. E lui ha anche detto che “il buon pastore deve odorare come le pecore”. In questo paese nomade è così facile odorare come le pecore… La maggior parte degli abitanti della Mongolia non sa niente del Papa. Di sicuro i nostri fedeli sanno di più e non vedono l’ora di fare esperienza diretta del Santo Padre.

A parte l’aspetto spirituale, che attività svolgete in quella missione da un punto di vista umano e sociale?

Il programma del Papa sarà molto intenso. Incontrerà il presidente della Mongolia, il governo, altri politici e rappresentanti di diverse religioni, ma il suo interesse principale è incontrare i fedeli del posto e aiutarli ad avvicinarsi a Gesù. Quella di Shuvuu è una Chiesa nata come un germoglio nel deserto che con fatica, pazienza e impegno cerca di annunciare il Vangelo e toccare i cuori di grandi e piccini, grazie alla presenza e al lavoro di tanti missionari, che presto vedrà in mezzo a loro il successore di Pietro. Un segno forte per una Chiesa nascente nel XXI secolo.

Gli strappiamo una benedizione e la promessa di sostenerci a vicenda con la preghiera e la solidarietà e con l’impegno di un “gemellaggio” futuro, magari in vista della prossima GmG che si terrà in Corea del Sud nel 2027.

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