Francesco: il male e il dolore non sono l’ultima parola

Riprese le udienze generali di Francesco nell'Aula Paolo VI.

I cristiani sono gente di primavera, e non di autunno. Sanno che il futuro che li attende è una immensa tenda in cui abitare insieme a Dio. Perché il male e l’odio non sono le ultime parole della storia. Dedicata alla speranza cristiana, sulla scorta dell’Apocalisse – “Ecco, il faccio nuove tutte le cose” (Ap 21, 5-7) – la catechesi dell’udienza generale di oggi, pronunciata in Aula Paolo VI davanti a 7mila persone. Al termine, durante i saluti ai fedeli di lingua italiana, la vicinanza alla popolazione di Ischia colpita dal terremoto.

Al centro delle parole del Papa, la tragica attualità di questi giorni: le copertine dei giornali, dove si riportano notizie tristi a cui tutti quanti richiamo di assuefarci. A braccio, Francesco cita gli attentati di Barcellona e le tragiche notizie dal Congo, ma ce ne sono tante altre, ricorda ai fedeli presenti:

“Provate a pensare ai volti dei bambini impauriti dalla guerra, al pianto delle madri, ai sogni infranti di tanti giovani, ai profughi che affrontano viaggi terribili, che sono sfruttati tante volte…La vita purtroppo è anche questo. Qualche volta verrebbe da dire che è solo questo”.

Può darsi, ma per chi ha fede non è così: c’è un Padre che ci aspetta per consolarci, che sa piangere con noi ma ha preparato per noi un futuro diverso. “Dio non ha voluto, le nostre vite per sbaglio”, assicura Francesco: ci vuole felici, per questo ci ha creati, e anche se a volte la vita su questa terra non è quella che ha preparato per noi, Gesù è il garante del nostro riscatto, lavora per riscattarci.

“Noi crediamo e sappiamo che la morte e l’odio non sono le ultime parole pronunciate sulla parabola dell’esistenza umana”:

essere cristiani, ricorda il Papa, implica una nuova prospettiva, uno sguardo pieno di speranza. All’orizzonte non c’è il non senso, o la nostalgia, o il rimpianto.

“Io sono un uomo, una donna, un ragazzo, una ragazza di primavera o di autunno? La mia anima è in primavera o è in autunno?”. È la domanda rivolta a braccio ai fedeli: “Di primavera, che aspetta il fiore, che aspetta il frutto, che aspetta il sole che è Gesù, o di autunno, che è sempre con la faccia guardando in basso, amareggiato e, come a volte ho detto, con la faccia dei peperoncini all’aceto”.

Il cristiano sa che il Regno di Dio sta crescendo come un grande campo di grano, anche se in mezzo c’è la zizzania:

“Sempre ci sono problemi, ci sono le chiacchiere, ci sono le guerre, ci sono le malattie … Ma il grano cresce, e alla fine il male sarà eliminato”.

Il futuro non ci appartiene, ma sappiamo che avrà i contorni di una grande “tenda” di Dio con gli uomini. In quell’istante, annuncia Francesco, sarà bello scoprire che niente è andato perduto, nessun sorriso e nessuna lacrima, perché la creazione non si è arrestata al sesto giorno della Genesi, ma ha proseguito instancabile: Dio si è sempre preoccupato di noi. Fino al giorno in cui tutto si compirà, nel mattino in cui si estingueranno le lacrime, nell’istante stesso in cui Dio pronuncerà la sua ultima parola di benedizione: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose!”.