Papa Francesco ci dice perché dobbiamo andare a Messa, ma anche come “stare” a Messa

Il Papa ha appena concluso un ciclo di 15 catechesi dedicate alla messa. "Ritorniamo" in piazza San Pietro, per ripercorrere i momenti salienti delle udienze del mercoledì degli ultimi cinque mesi.

Niente telefonini né chiacchiere: la messa non è uno spettacolo, è la Pasqua del cristiano. Papa Francesco ha appena concluso un ciclo di catechesi dedicate alle diverse parti della liturgia eucaristica, che comincia con il segno della croce – da insegnare bene ai bambini fin da piccoli – e si conclude mescolandosi con la vita di tutti i giorni. La vita come “Pasqua fiorita”, la consegna non solo legata a questo tempo liturgico.

I bambini e la croce. I bambini non sanno fare il segno della croce: bisogna insegnarglielo bene, perché “così incomincia la Messa, così incomincia la vita, così incomincia la giornata”. Il Papa lo dice a braccio nella prima catechesi, l’8 novembre 2017, e lo ripete il 20 dicembre, esortando i genitori e i nonni ad insegnare ai bambini dall’inizio a fare bene il gesto cristiano per eccellenza.

foto SIR/Marco Calvarese

Il silenzio. La messa è preghiera, e la preghiera è anzitutto silenzio, spiega Francesco nella catechesi del 15 novembre: “Non andiamo a uno spettacolo”, ribadisce sulla scorta della prima udienza sulla messa e come farà in quasi tutte le udienze di questi ultimi cinque mesi.

La messa “è un incontro vivo, andiamo alla Messa non a un museo”.

“Il silenzio non si riduce all’assenza di parole”, aggiunge il Papa nella catechesi del 10 gennaio 2018 a proposito dell’orazione di colletta, in cui il sacerdote con le braccia allargate imita il Cristo con le braccia aperte sul legno della croce raffigurato negli affreschi delle catacombe romane. Poi c’è il silenzio dopo l’omelia e quello della preghiera universale dopo il Credo, che “è il momento di chiedere al Signore le cose più forti nella messa, le cose di cui noi abbiamo bisogno, quello che vogliamo”, insegna il Papa il 14 febbraio, mettendo in guardia dalle “pretese di logiche mondane”, che “non decollano verso il cielo, così come restano inascoltate le richieste autoreferenziali”.

foto SIR/Marco Calvarese

Andare al calvario. “La messa è rifare il calvario”. È la metafora usata il 22 novembre per spiegare il senso della messa come memoriale, che è molto più che un ricordo. Si va a messa la domenica non solo perché è un precetto della Chiesa, ma perché “è la messa che fa la domenica cristiana” (13 dicembre). Le società secolarizzate se lo sono dimenticato, ma “senza Cristo siano condannati ad essere dominati dalla stanchezza quotidiana”. Per questo è importante recuperare il senso del riposo domenicale, un’invenzione del cristianesimo.

Fragili come l’argilla. Francesco apre il 2018 soffermandosi, il 3 gennaio, sul significato dell’atto penitenziale. “Non basta non fare del male al prossimo, occorre scegliere di fare il bene”, precisa mettendoci in guardia dalle nostre “omissioni”, che consistono nel tralasciare “di fare il bene che avrei potuto fare”. “Per paura o vergogna, puntiamo il dito per accusare gli altri”, il monito:

“Misurarsi con la fragilità dell’argilla di cui siamo impastati è un’esperienza che ci fortifica: mentre ci fa fare i conti con la nostra debolezza, ci apre il cuore a invocare la misericordia divina che trasforma e converte. E questo è quello che facciamo nell’atto penitenziale all’inizio della messa”.

foto SIR/Marco Calvarese

“In diretta”, e non sul giornale. La messa avviene “in diretta” e non per sentito dire, l’incipit della prima catechesi dedicata alla liturgia della Parola (31 gennaio): la vera notizia del giorno, per il cristiano, non è quella letta sul giornale, ma la Parola di Dio. “Nella messa non leggiamo il Vangelo per sapere come sono andate le cose, ma ascoltiamo il Vangelo per prendere coscienza di ciò che Gesù ha fatto e detto una volta”, prosegue il Papa la settimana seguente.

L’omelia non è “un discorso di circostanza”, una catechesi, una conferenza o una lezione: è “un riprendere quel dialogo che è già aperto tra il Signore e il suo popolo, affinché trovi compimento nella vita”. Deve essere breve, non più di dieci minuti, la raccomandazione.

La messa non si paga. Il centro della messa è Cristo: l’altare è Cristo, e il primo altare è la croce. Nel commentare la liturgia eucaristica, il 28 febbraio, Francesco fa notare che Gesù “ci chiede poco e ci dà tanto”: buona volontà, cuore aperto, voglia di essere migliori per accoglierlo nell’Eucaristia. Nella preghiera eucaristica, “nessuno è dimenticato”, assicura il Papa il 7 marzo, neanche i nostri cari, quelli presenti e quelli che non ci sono più. Per le messe in loro suffragio, non è prevista una tariffa:

“La messa non si paga”, è gratis, come il sacrificio di Cristo.

foto SIR/Marco Calvarese

Il Padre nostro e il perdono. “Perdonare le persone che ci hanno offeso non è facile, è una grazia che dobbiamo chiedere”, ammette Francesco il 14 marzo, commentando la preghiera del Padre nostro. “Gesù perdona sempre, non si stanca di perdonare: siamo noi a stancarci di chiedere perdono”, ripete il 21 marzo, illustrando il “prodigio della Comunione: diventiamo ciò che riceviamo”, perché

“ogni volta che non facciamo la comunione, assomigliamo di più a Gesù, ci trasformiamo di più in Gesù”.

Dalla messa alla vita. “I cristiani non vanno a messa per fare un compito settimanale”: nell’ultima udienza dedicata alla messa, il Papa indica un itinerario preciso: “Dalla celebrazione alla vita”, perché la messa non finisce, ma trova compimento nelle nostre scelte quotidiane.

“Lasciatevi allargare l’anima”, l’invito finale: “Non queste anime così strette e chiuse, piccole, egoiste! Anime larghe, anime grandi, con grandi orizzonti”.

“I frutti della messa sono destinati a maturare nella vita di ogni giorno”, perché la messa è come il chicco di grano, che ci separa dal peccato e c’impegna nei confronti degli altri, specialmente dei poveri, “a passare dalla carne di Cristo alla carne dei fratelli”. È l’Eucaristia che fa la Chiesa, che “ci unisce tutti”.