Donbass, la guerra dimenticata da tutti tranne che dal Papa

6 aprile 2014: manifestanti armati prendono possesso di alcuni palazzi governativi nelle regioni di Donetsk, Lugansk e Kharkiv. Comincia così una guerra nel cuore dell’Europa che ancora oggi non si è placata: 10mila vittime, 2 milioni di sfollati. “La tragedia più grande di questo conflitto è la dimenticanza generale”, confida al Sir il nunzio apostolico in Ucraina, monsignor Claudio Gugerotti.

“La tragedia più grande di questo conflitto è la dimenticanza generale. Evidentemente ricordare da fastidio per tante ragioni e, quindi, non se ne parla. Ed è questo silenzio che uccide, oltre al fatto di sentire continuamente la minaccia delle armi, il rumore dei mortai, la minaccia delle mine. È la sensazione di essere abbandonati”. Sono parole cariche di emozione quelle usate da monsignor Claudio Gugerotti, nunzio apostolico in Ucraina. Il Sir lo ha raggiunto telefonicamente nel giorno in cui si fa risalire l’inizio di un conflitto nella zona orientale del Paese che ha provocato ad oggi 10mila vittime, 2 milioni di sfollati. È il 6 aprile 2014 quando dei manifestanti armati prendono possesso di alcuni palazzi governativi nelle regioni di Donetsk, Lugansk e Kharkiv. Comincia così una guerra nel cuore dell’Europa. Se ne è parlato per qualche tempo. Poi la notizia è passata sulle pagine sempre più interne dei giornali fino a sparire completamente. I tecnici parlano di conflitto congelato, guerra ibrida, simile a quello che si svolge nel vicinato russo in Transnistria, Abkhazia e Nagorno Karabakh.

(Foto: AFP/SIR)

Tutti hanno dimenticato, tranne Papa Francesco. Il nunzio racconta di aver trascorso tutta la Settimana Santa nei luoghi del conflitto. “Dal Papa – dice – ho ricevuto questa raccomandazione molto forte di andare spesso a incontrare le persone che sono rimaste, cercare di consolarle, pregare con loro e portare la sua benedizione”. E così per Pasqua mons. Gugerotti ha visitato un villaggio che si trova nelle vicinanze delle città di Lugansk e Donetsk. “La gente stava lì ad aspettare”, racconta: “Quando sono entrato nella cappella ho trovato un’atmosfera totalmente inattesa. Gente che piangeva, commossa, che mi abbracciava. Ho chiesto: che cosa state vivendo? E loro mi hanno risposto: ‘Noi non serviamo a nessuno. Siamo inutili sia per i russi sia per gli ucraini. L’unica cosa che non potevamo mai immaginare è che il Papa inviasse il suo rappresentante a celebrare la Pasqua con noi. Non riusciamo a crederci’. Ed io ho raccontato loro che partendo ho chiesto al Santo Padre una benedizione speciale per loro e Papa Francesco ha risposto nel giro di pochi minuti. La gente era in lacrime. La gioia di queste persone di non sentirsi dimenticate è un’esperienza che poterò dentro di me per sempre”.

L’operazione “Papa per l’Ucraina”. Il nunzio va spesso nella zone di guerra perché è ancora in atto l’operazione “Papa per l’Ucraina” che ha comportato in tutte le parrocchie d’Europa la raccolta di una somma importante di denaro alla quale il Papa ha desiderato aggiungere un suo contributo personale di 5 milioni di euro per un totale di 16milioni di euro. Ad oggi, l’iniziativa ha raggiunto 800mila persone con aiuti diversificati secondo le esigenze.

La situazione. Lo scarso accesso alle medicine, la mancanza di acqua, la difficoltà di accedere ai viveri, la cattiva alimentazione, le file, le difficoltà burocratiche. “Tutto questo crea una situazione che, protraendosi da anni, è estremamente ingestibile dal punto di vista psicologico”, racconta il nunzio: “E a soffrirne sono soprattutto i bambini e le persone anziane. Mi diceva un medico che in contesti così provati, diminuisce anche la resistenza immunitaria alle malattie”, per cui ”si può morire anche per una bronchite e in età giovanile”.

L’appello all’Europa. Monsignor Gugerotti si rivolge all’Europa. “Se l’Europa pensa di risolvere i suoi problemi guardando soltanto alle sue questioni interne, non solo non riuscirà a risolverli ma sarà schiacciata dalla pressione esterna. Per cui soltanto uno sguardo mondiale può essere oggi una salvezza per tutti. Non esiste più il ‘si salvi chi può’. Alle porte dell’Europa, c’è un conflitto ma l’Europa è troppo presa dai problemi nazionali e dalla difficoltà del suo stare insieme per accorgersene. Se non si riscopre la solidarietà internazionale come mezzo per ristabilire un minimo di diritto comune, per garantire un minimo di giustizia e equità, noi non solo non salveremo noi stessi ma lasceremo perire altre persone pentendoci poi in futuro di non aver visto”.