Papa Francesco e don Tonino Bello, due sentieri che si incrociano

Per la prima volta, il 20 aprile, il Papa in una sua visita pastorale in Italia renderà omaggio ad un vescovo. Da Alessano, prima tappa del viaggio sulle orme di don Tonino Bello, la testimonianza di Giancarlo Piccinni, presidente della Fondazione che porta il suo nome, dei fratelli e del nipote.

Papa Francesco e don Tonino Bello: oggi avrebbero quasi la stessa età. Il 20 aprile, a 25 anni dalla morte del “servo di Dio”, i loro sentieri si incroceranno: per la prima volta, nelle sue visite pastorali in Italia, Francesco renderà omaggio a un vescovo, sostando in preghiera sulla sua tomba che è quotidianamente méta di pellegrinaggio da ogni parte d’Italia e del mondo. Per la gente di Alessano, il paese natale che conserva le sue radici e dove ha voluto essere sepolto, questo incontro viene percepito come assolutamente naturale: “Se don Tonino fosse diventato Papa, oggi sarebbe Papa Francesco”, azzarda addirittura con un sorriso don Gigi Ciardo, parroco della Collegiata “SS. Salvatore”, la chiesa madre di Alessano, di fronte alla casa natale di don Tonino. All’indomani della sua scomparsa quella casa è diventata una Fondazione che porta il suo nome, per volontà di don Tonino e grazie all’impegno della sua famiglia e del presidente della Fondazione don Tonino Bello, Giancarlo Piccinni, cresciuto con don Tonino di cui prima è stato allievo al liceo e poi ha sperimentato l’amicizia e la paternità spirituale anche negli anni dell’episcopato a Molfetta, che hanno conciso con i suoi anni di studio a medicina.

Sentieri scomodi. Oggi Giancarlo è uno stimato cardiologo, ma la sua agenda fitta di impegni non gli impedisce di portare avanti con lo stesso fervore la sua opera di trasmissione della memoria. “Don Tonino non è stato un profeta di sventura”, ci tiene subito a precisare: “Ci diceva che dal cielo non ci arriva nulla: anche la speranza la dobbiamo organizzare”. La dimensione orizzontale della fede, per il prete salentino, “incrocia sentieri scomodi, ma che vanno percorsi rispondendo in primo luogo alla domanda su cosa stia succedendo nel mondo”. Ironia, autoironia e sano distacco dalle cose: sono tre tratti per Piccinni essenziali nel profilo di don Tonino, uomo appassionato della vita che viveva le cose con passione:

“L’ho visto anche piangere, come quando ha visto scorrere al telegiornale le immagini della guerra in Iraq. Diceva che in ogni guerra c’è sempre una grande bugia, e più una guerra vuole dimostrare il contrario più la bugia è grossa. Il divario tra il Nord e il Sud del mondo, che lui denunciava, era il primo pezzo della guerra mondiale a pezzi di cui parla oggi Papa Francesco”.

Il viaggio a Sarajevo, con la marcia pacifica di protesta contro la guerra pochi mesi prima di morire, era mosso da un’urgenza interiore. “Devo andare, mi devo spendere fino all’ultimo giorno per tutti, devo andare lì per mostrare che la violenza non porta da nessuna parte”, le parole di don Tonino, che al ritorno scrive sul suo diario, in un passo pubblicato – come altri inediti – sull’ultimo libro di Giancarlo Piccinni, “Don Tonino sentiero di Dio”: “Rimango solo e sento una gran voglia di piangere. Il seme della nonviolenza attecchirà se i poveri lo vorranno”.

Giancarlo Piccinni con Marcello e Trifone Bello

Porte aperte. Gli ultimi passavano da casa sua, “condivideva con il povero anche la povertà”, racconta Giancarlo a proposito della decisione – anche questa profetica rispetto al pontificato di Francesco – di aprire le porte della sua casa alle vittime della “cultura dello scarto”.

“Mi ricordo quando andavo a trovarlo e lui mi invitava a cena. Apparecchiava per bene la tavola, apriva gli sportelli della dispensa e si accorgeva che erano vuoti: non c’era più niente… così il più delle volte uscivamo a prenderci un pizza”.

“Ci voleva liberare delle tre p: potere, profitto e prestigio”, dice il presidente della Fondazione, facendo emergere il ritratto di don Tonino educatore dei giovani, all’insegna della libertà dal fascino perverso del denaro.

Un’ala di riserva. “Quando è morto, ci ha lasciato un cumulo di debiti”, sorride il fratello Trifone riportando alla memoria l’immagine del tragitto che Tonino faceva dalla casa materna alla chiesa, durante il quale, spesso insieme alla mamma, “dilapidava il patrimonio”, scherza a proposito dei gesti di aiuto verso chi si rivolgeva a lui nel momento del bisogno. Anche l’altro fratello, Marcello, traccia un ritratto assolutamente privo di retorica: “Non è stato niente di speciale durante i primi anni di vita: ha giocato con noi a sassate, a spade di legno, a pallone…Poi è entrato in seminario, più come ripiego per una madre vedova con tre figli maschi e senza lavoro che voleva farlo continuare a studiare, perché prometteva bene”. Dopo 5 anni ad Ugento, don Tonino è andato a Molfetta per gli studi liceali ma “l’esplosione è avvenuta pienamente a Bologna”, all’Onarmo (Opera nazionale assistenza religiosa e morale degli operai) con il cardinal Lercaro: “In quel periodo ha dato tanto di sé e c’era già in lui quello che sarebbe stato di lì a poco, da vescovo”. Stefano è il nipote di don Tonino e ricorda uno zio che lo consolava quando da bambino aveva una giornata storta e lo aiutava nelle versioni di latino, così prendeva bei voti il giorno dopo. “Mi ha insegnato a guidare e a nuotare nel mare di Leuca, mi teneva sulle spalle. Poi ho dovuto studiare il suo pensiero, è morto quando avevo 20 anni: ho dovuto vivere negli anni successivi al don Tonino vescovo, che ha aperto le porte del vescovato grazie alla sua Chiesa col grembiule e mi ha insegnato che la convivialità delle differenze non è un’astrazione teorica, ma qualcosa da vivere, da osare insieme, abbracciandosi insieme”. Come fanno i due angeli con una sola ala nel bassorilievo della chiesa madre di Alessano, da cui don Tonino ha tratto ispirazione per la sua celebre composizione “un’ala di riserva”:

“Gli uomini sono angeli con un’ala soltanto: possono volare solo rimanendo abbracciati”.