Mons. Piemontese: Mi sono inserito in un cammino

A quasi tre mesi dalla nomina una chiacchierata di PdV con l’Amministratore Apostolico.

Dopo l’annuncio del nuovo Arcivescovo di Cosenza – Bisignano, monsignor Giovanni Checchinato, abbiamo incontrato l’amministratore apostolico, monsignor Giuseppe Piemontese a quasi tre mesi dal suo arrivo a Cosenza.

Oggi la nomina del nuovo Vescovo. Un giorno di gioia.

Questo giorno è stato molto atteso. In realtà la decisione del Papa non si è fatta attendere molto perché questi sono i tempi tecnici per la provvista di una Chiesa.

Quali i sentimenti che addita alla Diocesi?

In questi mesi ho sempre detto che dobbiamo pregare perché il Santo Padre inviasse un Vescovo ordinario perché la mia è una posizione ‘straordinaria’, di collegamento. Questo tempo intermedio è abbastanza delicato perché può prestarsi a un rilassamento, a una pigrizia interiore e pastorale. Io ho voluto impostarlo e viverlo come un tempo fecondo per cercare di ripensare e raccogliere tutto il ministero di mons. Nolé, il grande lavoro che ha fatto, e rilanciare le sue linee portanti. Questa Chiesa ha camminato, ha raggiunto degli obiettivi. Tale realtà andava raccolta, custodita e rilanciata. C’è stata una fattiva collaborazione di tutte le forze, dai sacerdoti ai diaconi fino ai fedeli.

Che Diocesi ha trovato venendo qui?

Ho trovato una Diocesi in lutto, molto provata, scioccata, e questo si è percepito. Questo evento è stato vissuto però alla luce della fede nella Resurrezione del Signore e, col suo aiuto, questa Chiesa ha ripreso a camminare. L’ottavo centenario della Cattedrale, ad esempio, è un evento di grande gioia, festa e significato ecclesiale, che abbiamo anche intensificato. Il fatto che le foranie siano venute in pellegrinaggio, in gran numero, è già qualcosa di straordinario. Così come gli eventi culturali e artistici.

È in corso il Sinodo. Che opportunità è per la nostra Chiesa?

Questa Chiesa è in un cammino sinodale. Era già iniziato e sta proseguendo secondo le linee della Cei e della stessa diocesi. Il discorso sulla sinodalità va sempre ravvivato, arricchito e approfondito, altrimenti le parole del Sinodo diventano lettera morta, appassita, appannata. Dobbiamo sempre intensificare gli sforzi, perché le comunità non si adagino sul ‘ho fatto la mia relazione’: abbiamo solo iniziato un cammino. E mons. Checchinato certamente riprenderà questo grande cantiere, che è anzitutto opera del Signore. Non possiamo più operare e programmare come se fossimo ancora in una società cristiana Noi, come lui ha detto, siamo soltanto dei manovali. Importanti, ma sempre al servizio. Abbiamo iniziato l’anno pastorale guardando all’anniversario del concilio Vaticano II. Il Concilio Vaticano II va ripreso, riscoperto. Le nuove generazioni non lo conoscono, occorre riscoprire almeno le quattro Costituzioni conciliari; ciò, insieme alla vita ordinaria della Diocesi, fatta di catechesi, liturgia, carità, di comunione. Non è semplice, perché la nostra società e le nostre comunità vivono ormai in un contesto di scristianizzazione. Spesso operiamo come se ci trovassimo in una società cristiana, ma la verità è che siamo una minoranza. Qui in Calabria ancora ci sono piccole oasi di cristianità, che però già subiscono gli influssi della secolarizzazione. Il percorso sinodale dovrà incanalarsi per percepire le esigenze di un bisogno di Dio, che c’è, ma che viene sempre di più sbiadito e nascosto e che sottostà ad altri interessi, prevalentemente mondani. Questo discorso va fatto con tutte le realtà della diocesi, ma anzitutto con i presbiteri, con i diaconi, con i catechisti. Siamo un pò distratti, continuiamo a programmare e operare come se fossimo in una società cristiana. Ma non è più così!

Una Chiesa in ascolto dei segni dei tempi, come ha detto in Cattedrale

Sì! Ma penso prima di tutto ai giovani. Ci sono ancora frange di ragazzi che hanno la Chiesa come riferimento. Frequentano la parrocchia e i gruppi. Questa è una consolazione e una gioia, ma temo che la cosa non continuerà a lungo. I giovani sono purtroppo una realtà assente dalla vita della Chiesa, poi dalla Calabria molti vanno fuori perché qui non trovano realizzazione. Non voglio individuare colpe e snodi, ma questa è la nostra realtà e le nostre Chiese rischiano, nel giro di cinque o dieci anni,di essere riempite solo di persone adulte e anziane. Nelle parrocchie dobbiamo convincerci di dover ripensare, insieme, in sinodalità, la nostra pastorale giovanile, individuando i problemi e cercando di capire cosa fare. Dobbiamo avere consapevolezza del cambiamento di epoca, come la definisce papa Francesco, la consapevolezza delle difficoltà, confidando nel Signore. Senza smania, ma affidandoci a Dio.

Quali piste ci suggerisce come figlio di Francesco d’Assisi e come Vescovo?

A proposito di 800 anni, vanno ricordati gli 8 secoli di francescanesimo in Calabria, che abbiamo recentemente celebrato con due incontri in Diocesi, credo che possiamo riflettere molto sul senso degli anni Centenari. Mi spiego meglio: possiamo vivere il centenario della Regola, del presepe, delle stimmate di San Francesco, del Cantico delle creature, del pio transito del Santo, come una possibile direzione per il cammino. Ad esempio, il centenario della Regola ci invita a mettere al centro il Vangelo, quello del presepe l’incarnazione di Cristo, il centenario della Verna ci richiama la croce di Gesù, quello del Cantico l’impegno a riscoprire la creazione come opera di Dio, e infine, quello del transito di Francesco, per riscoprire la Pasqua del Signore.

Lei è in città da quasi tre mesi. Che idea si è fatto?

La mia è una conoscenza ovviamente limitata perché sono qui da pochi mesi. Cosenza è una città orgogliosa, che ritiene di avere e di svolgere un primato all’interno della Calabria. È orgogliosa della sua storia. Forse siamo troppo autosufficienti, dovremmo insieme sviluppare un maggiore senso civico. Fermo restando la ricchezza del volontariato, e Cosenza nel 2023 è stata dichiarata capitale italiana della solidarietà e dell’impegno, dobbiamo puntare sulla bontà e la genuinità della gente e impegnarci tutti noi.