Diocesi
La vocazione alla ministerialità istituita
I ministeri costituiscono una grazia, un dono concesso per il bene della Chiesa e il servizio ai fratelli.
Lo Spirito del Signore Gesù, sorgente perenne della vita e della missione della Chiesa, distribuisce ai membri del popolo di Dio i doni che permettono a ciascuno, in modo diverso, di contribuire all’edificazione della Chiesa e all’annuncio del Vangelo. Questi carismi, chiamati ministeri in quanto sono pubblicamente riconosciuti e istituiti dalla Chiesa, sono messi a disposizione della comunità e della sua missione in forma stabile.
“Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole” (1 Cor, 12, 4-7.11).
“I ministeri costituiscono una grazia, ossia un dono che lo Spirito Santo concede per il bene della Chiesa; e comportano pure, per quanti li assumono, una grazia, non sacramentale, ma invocata e meritata dall’intercessione e dalla preghiera della Chiesa” (CEI, Evangelizzazione e ministeri, 1977 n. 62).
I ministeri istituiti del Lettore e dell’Accolito, che Papa Francesco con la modifica del Can.230 §1 del CJC ha dato anche l’accesso al sesso femminile con lettera “Motu Proprio” del 10 Gennaio 2021 e quello del Catechista, istituito dal Papa Francesco con Lettera “Motu Proprio” “Antiquum Ministerium” del 10 Maggio 2021 sono carismi riconosciuti ed esercitati in maniera piuttosto stabile a favore della comunità, doni dello Spirito che abilitano al servizio. La Chiesa li verifica e li riconosce.
Essendo doni, essi sono in primo luogo risposta ad una vocazione, che chiama alla donazione di sé, alla disponibilità radicale, ad essere e ad agire nella Chiesa secondo lo specifico di ogni ministero (cfr. CEI, I ministeri nella Chiesa, n. 4/d).
L’ambito in cui nasce e si esercita il Ministero istituito è, normalmente, la parrocchia.
I criteri con cui il Parroco e il Consiglio Pastorale parrocchiale sono chiamati a compiere il discernimento sulle persone idonee al ministero sono:
– vita spirituale intensa, fondata sulla partecipazione frequente (possibilmente quotidiana) all’Eucaristia; spirito di gratuità, gioia nel donarsi, capacità di sacrificio, amore alla Parola del Signore;
– spirito di servizio e di condivisione, che sgorga dall’Eucaristia e conduce all’imitazione di Cristo, Signore e servo;
– amore alla Chiesa e in particolare alla propria comunità, che comporta sensibilità per le realtà concrete anche più complesse e meno gratificanti;
– stima da parte della comunità di cui il candidato al Ministero gode per la sua fede, la sua capacità di dialogo, di comunione nella comunità e con il Parroco;
– serietà professionale e sensibilità per l’animazione cristiana delle realtà sociali e per ogni forma di carità;
– grande maturità umana, che lo renda uomo di buon senso e di sapiente equilibrio.
L’approvazione definitiva del candidato al ministero per l’istituzione è fatta dal Vescovo, sentiti i responsabili dell’Ufficio Ministeri Diocesano, il Parroco e lo stesso candidato, dopo che ha frequentato il corso formativo secondo le modalità richieste.
Pertanto i ministeri istituiti contribuiscono alla crescita della comunità cristiana, collaborano responsabilmente alla sua missione, promuovono la comunione e si pongono in ascolto delle attese e delle aspirazioni degli uomini del nostro tempo e di andare loro incontro.
Lo Spirito del Signore Gesù, sorgente perenne della vita e della missione della Chiesa, distribuisce ai membri del popolo di Dio i doni che permettono a ciascuno, in modo diverso, di contribuire all’edificazione della Chiesa e all’annuncio del Vangelo. Questi carismi, chiamati ministeri in quanto sono pubblicamente riconosciuti e istituiti dalla Chiesa, sono messi a disposizione della comunità e della sua missione in forma stabile.
E’ compito del Presbitero far convergere verso l’unità i diversi ministeri che lo Spirito suscita. Quella del presbitero è una responsabilità di guida, di animazione, di coordinamento, di armonizzazione che abbraccia tutti gli ambiti della vita ecclesiale.
Da una parte deve fare spazio a tutte le iniziative e i doni, senza mai soffocare lo Spirito, che «soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va» (Gv 3,8). Non si arroga dunque nessun monopolio, si guarda dall’accentrare tutto in sé. Dall’altra parte non può lasciar crescere tutto questo in modo anarchico e individuale: si avrebbe la totale dispersione delle energie. Deve guidarle e coordinarle in modo che tutto concorra a “far crescere” i singoli e la comunità «in tutto, verso Cristo» (Ef 4,15).
Non è questa solo una funzione di disciplina, meno ancora una funzione di freno; ma piuttosto una funzione di animazione, simile a quella che ha il cuore nell’organismo: mette in circolazione i doni, evitando i compartimenti stagni, in modo che ognuno cooperi al bene dell’insieme, «per l’edificazione della comunità», come dice ancora san Paolo (1 Cor 14,12).
Il Presbitero Coordinatore dei vari ministeri
Il prete, in ordine ai diversi ministeri e carismi, ha un triplice compito:
a) di stimolo. Non si tratta di farli nascere, perché i carismi vengono da Dio soltanto, ma di farli emergere nella luce della coscienza, di “rivelarli”. È, in fondo, questo l’obiettivo primario della pastorale vocazionale;
b) di discernimento (la diakrisis degli orientali). È un giudizio che distingue l’autentico dall’inautentico, i carismi dai “pallini”, i doni veri da quelli presunti. Egli non sarà in grado di farlo, se non è un uomo che sa ascoltare con molta pazienza: ascolto affettuoso dei fratelli, per leggere nel loro cuore e nella loro storia personale, e ascolto della Parola per «sentire ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2,17) per aiutare i fratelli a mettersi in sintonia con il progetto di Dio. E questo non si fa se non in un clima di preghiera;
c) di armonizzazione. Deve procurare che l’apporto originale di ciascuno converga verso 1’obbiettivo unico: costruire il Corpo di Cristo. Perché non capiti come a quelle due formiche che intorno a un granello, tirano una da una parte e una dall’altra, con tutto l’impegno, e intanto il granello rimane lì. Il prete è l’uomo della sintesi e il ministro della convergenza. E si guarderà bene dal far convergere le cose e le persone a sé anziché a Dio o di sovrapporre i suoi progetti a quelli del Signore. La sintesi si fa nello Spirito Santo.
Il consiglio pastorale è il luogo e lo strumento dove le varie esperienze parrocchiali (che devono essere presenti) realizzano questa convergenza, sotto la guida ferma e insieme discreta del Parroco.
Il Presbitero Costruttore della Comunità
Per questa strada il prete costruisce la comunità. Si tratta di edificare la comunità parrocchiale come un “corpo ben scompaginato” nella koinonía. La costruzione è di tutti, ma si fa solo intorno al presbitero che visibilizza il successore degli apostoli, il vescovo. «Il prete – dice Gregorio di Nazianzo – è nel corpo organico ciò che é l’anima nel nostro corpo». Sembra che con ciò egli usurpi la funzione dello Spirito Santo; in realtà non è così: non ne è che lo strumento.
La comunità non è mai fatta una volta per tutte: la si costruisce di continuo, giorno dopo giorno. II prete non è “factotum”, non soffoca, ma suscita partecipazione e corresponsabilità. In questo la Chiesa deve insegnare alla società, facendosi carico di vera promozione umana.
Come responsabile “in toto”, il prete si occupa di tutti e aiuta tutti a realizzarsi nella Chiesa. È l’Economo e il ministro della grazia di Dio per tutto il Popolo di Dio.
I genitori domandano una luce e un sostegno nella loro difficile opera di educazione, i gruppi hanno bisogno della sua guida per la loro coesione interna, la loro animazione evangelica, la loro capacità di inserirsi nella comunità più grande. La carità pastorale non conosce barriere.
Se ogni presbitero si impegna con tutte le energie che lo Spirito Santo le ha partecipato il giorno dell’ordinazione vedrà realmente fiorire il deserto in una nuova primavera ecclesiale.