Il servizio sociale in Calabria

Uno resoconto a 15 anni dall’emanazione della legge con l'intervista a due assistenti sociali: Donatella Maisano e Umile Bentivedo 

Dopo 15 anni dalla legge quadro 328/2000, qual è la situazione nei comuni calabresi in merito all’istituzione del servizio sociale? Proviamo a capire meglio lo scenario calabrese con l’aiuto di due assistenti sociali: Donatella Maisano di Siderno e Umile Bentivedo di Bisignano.

Com’è il servizio sociale offerto in Calabria?

«Legislativamente è di competenza dei Comuni. Il servizio dovrebbe esistere in base a leggi specifiche ma allo stato attuale il servizio appare frammentato. Sono pochi, infatti, i comuni che hanno la figura dell’assistente sociale e pochissimi quelli che hanno lo psicologo o dell’educatore. I distretti socio-assistenziali che potevano istituire l’ufficio distrettuale di servizio sociale di fatto hanno rinunciato, salvo qualche caso isolato».

In base alla vostra esperienza, quali sono le figure che, ad oggi, portano avanti questo servizio nei Comuni?

«La stragrande maggioranza degli assistenti sociali o delle altre due figure che operano nei Comuni sono dipendenti a tempo indeterminato in possesso dei titoli ma quasi sempre inquadrati diversamente o  proviene dai lavori cosiddetti di pubblica utilità o socialmente utili. Spesso, però, si ritrovano con le mani legate perché, non avendo un contratto regolare o inquadrati diversamente con l’ente dove svolgono la professione, 

Come definireste quindi, le politiche sociali attuate nella Regione Calabria?per fare l’assistente sociale devono in un certo senso chiedere il “permesso”».

«Sarebbe il momento di puntare finalmente su un welfare “pluralistico”, con un sistema allargato di governo basato sulla gestione dei servizi da parte dei comuni in forma associata (distretti socio-assistenziali), o singola se in possesso delle figure citate. A livello comunale dovrebbero essere mantenuti, in assenza di pianta organica sociale, soltanto quei servizi che comportano una modesta complessità gestionale (assistenza economica e alloggiativa, aiuto personale, mensa sociale e accoglienza notturna, trasporto sociale, centri ludico-ricreativi e di aggregazione sociale e altro come i ricoveri socio-assistenziali in Istituto), delegando ad essi anche verifiche di controllo sulle strutture residenziali presenti sul territorio di competenza.

Tutti gli altri interventi dovrebbero essere gestiti, invece, a livello associato nel distretto, recuperando e coinvolgendo le figure che

 attualmente vi lavorano nei Comuni e in possesso dei titoli. Con il trasferimento delle funzioni potranno essere potenziati gli uffici dei distretti socio-assistenziali, attraverso il distacco del personale degli uffici dei singoli Comuni dedicati ai servizi sociali.

Questo potrebbe garantire, finalmente, un raccordo più forte fra gli interventi sociali e quelli a livello di programmazione, organizzazione, erogazione e finanziamento. Finora si è avuto un sostanziale scollamento tra sistema sociale comunale e servizio sociale sanitario (affidato alle Asp), con una cattiva qualità degli interventi e un conseguente spreco di risorse».

Mi pare di capire che necessiterebbe un vero e proprio Piano sociale regionale?

«Il raggiungimento degli obiettivi di integrazione deve essere un elemento fondamentale per la valutazione sia per i responsabili dei piani sociali di zona, sia per i direttori dei distretti sanitari. Un  Piano sociale regionale, dovrebbe essere lo strumento privilegiato della programmazione delle politiche sociali sul territorio. Per la stesura del Piano bisogna prevedere il coinvolgimento degli organismi del Terzo settore, delle organizzazioni sindacali e delle ASP».

Invece, come si può dare maggiore qualità al servizio che viene fornito oggi?

«Per garantire la qualità degli interventi e dei servizi si dovrebbero adottare una serie di strumenti come ad esempio da parte dei Comuni del distretto di una carta dei diritti di cittadinanza sociale, un regolamento per la gestione dei fondi economici da parte dei Comuni capofila, l’attuazione di processi di valutazione da parte dei cittadini e delle associazioni di tutela degli utenti e un monitoraggio periodico attraverso il Sistema informativo dei servizi sociali e l’Anagrafe elettronica dei servizi sociali. L’affidamento dei servizi, dovrebbe avvenire secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa escludendo il criterio del solo massimo ribasso. Infine, bisognerebbe istituire  un osservatorio per combattere la povertà.

L’Osservatorio dovrebbe essere a tutti gli effetti un organismo della Regione con il compito di analizzare il fenomeno della povertà nella Calabria e di elaborare politiche innovative di inclusione sociale. La partecipazione all’Osservatorio, poi, dovrebbe essere allargata ai rappresentanti delle organizzazioni del Terzo settore che lavorano nel contrasto alla povertà, in modo da creare un coordinamento stabile tra le realtà che operano sul territorio. I Comuni, invece, in tempi brevi, in forma singola o distrettuale dovranno istituire il servizio sociale secondo il dettame della legge 328/2000 art.12 con le figure previste (assistente sociale, psicologo ed educatore) oppure non potrebbero svolgere tali compiti.