Territorio
Gesù, lo straniero a cui nessuno è straniero
Proponiamo integralmente su www.paroladivita.org l'intervista pubblicata in parte sul numero cartaceo di questa settimana al biblista Carmine Di Sante.
Si è tenuto venerdì sei marzo nella sala del circolo culturale “Popilia” l’incontro sul tema: “Lo straniero nella Bibbia. Perdono e riconciliazione nell’Ebraismo e del Cristianesimo”. Ospite dell’evento il biblista e saggista Carmine di Sante, autore di numerosi saggi, a cui abbiamo rivolto alcune domande.
Gesù può essere considerato straniero?
Certamente, Giovanni nel suo evangelo prologo dice che Gesù venne tra i suoi, ma i suoi non lo riconobbero, né lo hanno accolto. Se poi pensiamo anche a tutta la vicenda terrena di Gesù i Discepoli ad un certo punti lo abbandonano, noi sappiamo che ai piedi della croce non c’era nessuno di loro. Pietro a cui aveva dato il titolo di essere fondamento della Chiesa: “Tu sei Pietro, su questa Pietra edificherò la mia chiesa”, lo ha rinnegato, quindi straniero al mondo straniero ai suoi e continua ad essere straniero ancora oggi, ma la cosa sorprendente del racconto evangelico è che Gesù straniero non sente stranieri coloro che gli stanno accanto, li sente amici e li ama di un amore straordinario, gratuito, ama anche coloro che non lo amano. Lo straniero che non rende stranieri gli altri.
Secondo lei la nostra civiltà è preparata allo straniero?
Il termine civiltà è un termine che può avere tanti significati. Se si chiedesse gli studiosi, sul piano della ricerca scientifica cos’è una civiltà, sul piano dell’antropologia culturale è facile individuare una definizione condivisa, comunque la civiltà è un insieme di tante cose, quindi anche la civiltà nostra contemporanea conosce delle cose straordinarie, ma anche delle cose ignobili. Per quanto riguarda il rapporto con lo straniero cioè con coloro che vengono da un’altra terra, luogo e religione, l’Occidente ha un atteggiamento ambivalente, per un verso c’è una tradizione di accoglienza, diciamo soprattutto il bacino Mediterraneo ha sviluppato sempre una cultura dell’accoglienza, accogliere il diverso lo straniero, poi questo cozza però con i dati di fatto, per un verso lo straniero viene accolto per l’altro viene percepito come minaccia, nemico. Dobbiamo creare una civiltà dell’accoglienza, cultura dell’accoglienza e dell’ospitalità. Il mio libro “Straniero nella Bibbia” libro lavora sullo straniero nel testo biblico, mostrando che il significato profondo di questo racconto è che bisogna accogliere lo straniero come Dio accoglie noi, che siamo appunto stranieri a Dio.
Gli stranieri hanno timore di noi?
Anche lo straniero come l’accoglienza ha un atteggiamento ambivalente, esso ha bisogno dell’accoglienza, desidera di essere accolto, invoca l’accoglienza, proprio perché lo straniero percepisce che può essere anche rifiutato, escluso. La sua presenza è un appello a superare l’indifferenza ad uscire dai nostri mondi chiusi e garantiti. Non dimentichiamo che l’ Europa ha conosciuto la Sboah, una regressione abissale, nel cuore dell’Europa illuministica è fiorita la peggiore delle barbarie. La civiltà come cultura etica, come accoglienza, come apertura al diverso all’altro è un impegno che ognuno di noi è chiamato a svolgere nel quotidiano ogni mattina.
Negli ultimi mesi si è parlato molto dell’Islam e la possibilità che ha di integrarsi con la nostra cultura e tradizione, lei cosa ne pensa?
Non so se le diversità culturali o religiose sono chiamate ad integrarsi, è un termine su cui riflettere, perché è un termine ambiguo, la strada che l’Europa è chiamata a percorrere è la via dell’ospitalità reciproca, dell’accoglienza reciproca, coospitalità delle differenza delle religioni, l’Occidente deve accogliere l’Islam come l’Islam deve educarsi ad accogliere la cultura dell’Occidente, come ad esempio la diversa immagine della donne che l’Occidente rivendica, la sua libertà, la sua autodeterminazione. La Bibbia propone più che la fusione delle integrazioni delle civiltà, la coospitalità reciproca delle diversità.
Gesù dice: “Andate e prendete il Vangelo” quanto c’è ancora della forza evangelizzatrice che avevano i primi cristiani?
L’evangelo è una parola di liberazione potente, evangelizzare vuol dire rendere noto, notificare che ogni uomo e ogni donna è amato e perdonato da Dio ed è chiamato ad amare e a perdonare come Dio. Questo è il compito della Chiesa ed è questa la nuova evangelizzazione, questo è il futuro e la Chiesa non deve entrare in contraddizione, in conflitto con nessuna altra cultura, deve solo notificare questa bella notizia, il racconto di un Dio perdonante, che chiama a perdonare, alla riconciliazione dei popoli, delle culture, delle diversità.
Quali sono i comportamenti da modificare per poter meglio convivere con lo “straniero”?
Ognuno di noi è chiamato ad uscire fuori dal proprio io, cerchio, dal proprio ego, si chiude in se e all’altro entra in una situazione di solitudine con se stesso, quindi in una sofferenza in un solipsismo. Dovremmo parlare di più, amarci, volerci bene e soprattutto creare un mondo di giustizia, perché è la giustizia che porta fuori ognuno di noi dal proprio io, dal proprio mondo chiuso, dalla propria autoreferenzialità, dal mito dell’autorealizzazione. La felicità è legata al fare qualcosa di buono e di bello per gli altri. Soprattutto i giovani devono fare questo. Anche la comunicazione può fare molto, diventando fonte di arricchimento. Anche il giornalismo è servizio alla verità. Fermo restando che comunicazione e comunione non si identificano.