Il nuovo focolare domestico: il videogioco

Stefano Triberti, studioso dell'Università Cattolica di Milano, spiega gli effetti benefi ci dei videogiochi nella comunicazione tra genitori e fi gli

I videogiochi non sono ben visti da molti. E chi li utilizza viene considerato per lo più persona con difficoltà relazionali, propensa all’isolamento, pronta a rifugiarsi in un mondo virtuale. Forse fino a qualche decennio fa tutto questo era vero. Ma abbiamo una buona notizia: il videogioco non è più lo stesso. Ha subito una metamorfosi. Se prima era strumento per pochi appassionati ed esperti, i cosiddetti “hardgamer”; oggi, divenuto più semplice e immediato, è gioco per chiunque dimostri un minimo interesse per il mondo digitale.

I videogiochi sono ora destinati al “casual gamer”, al giocatore occasionale che ama giochi semplici e sfide possibili. Il gioco nella sua prima fase evolutiva consentiva all’hardgamer di giocare solo, nella sua stanza. Oggi, invece, è multiplayer ha sempre più funzioni e spinge a giocare con altri. Si è perciò trasferito dalla camera da letto al salotto di casa, richiamando sempre più l’attenzione non solo dei giovanissimi ma anche degli adulti. Recenti studi hanno dimostrato che il videogioco ha effetti benefici sulle  elazioni familiari. Tanto da essere considerato il nuovo focolare domestico: attorno a esso si riunisce la famiglia per fare esperienza di divertimento e di dialogo. L’interesse crescente per questo strumento di gioco ci ha spinto a rivolgere alcune domande a Stefano Triberti, dottorando in Psicologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; autore, insieme a Luca Argenton, del volume “Psicologia dei videogiochi”; ospite della nostra diocesi, in occasione del Festival della Comunicazione.

Papa Francesco nel suo messaggio per la 49a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali ha scritto che i media possono ostacolare o favorire la comunicazione in famiglia. Conosciamo bene quali impedimenti il videogioco può portare alla comunicazione, la tendenza all’estraniamento e lo sviluppo di atteggiamenti aggressivi. Ma poco si parla di come il videogioco agevola l’apprendimento e reca benefici al dialogo in famiglia.

La scoperta e la diffusione del videogioco “casual” sta portando i videogames a essere sempre più un’esperienza familiare. Si è provato ad usarlo per l’apprendimento, con l’obiettivo di facilitare  l’insegnamento scolastico; buoni i risultati, ma, in questo caso, genitori e figli rimangono distanti: da una parte i bambini affrontano il compito, dall’altra i genitori rimangono concentrati sull’esatto svolgimento dell’esercizio. Se i genitori e i figli, invece, giocano solo per divertirsi, l’interazione familiare aumenta, e il momento di svago diventa esperienza di grande condivisione. Naturalmente deve esserci un giusto livello di sfi da e le difficoltà devono essere adatte alle persone che giocano.

Il cosiddetto “digital divide” – il divario esistente tra chi ha facilmente accesso al pc e a internet e chi, invece, ne è escluso, in modo parziale o totale – non investe la famiglia? Non accade, cioè, che i figli più avvezzi al gioco digitale siano portati a respingere i genitori quasi del tutto inesperti nell’uso di internet e dei videogames?

Secondo alcune ricerche, nel caso della famiglia il “digital divide” produce effetti positivi: la comunicazione è potenziata dal fatto che i genitori si pongono come ignoranti, riconoscono ai bambini di avere una competenza: chiedendo di essere supportati, gli adulti originano desiderio di condivisione nei più piccoli che, identifi cati come portatori di un sapere da trasmettere ai genitori e sentendosi da loro apprezzati e valorizzati, ricercano con piacere questi spazi di confronto e di gioco. Si può giocare con un videogioco nel salotto di casa o nella piazza dei social network.

Quali differenze tra questi due spazi di intrattenimento?

I videogiochi in casa offrono a genitori e figli occasione per divertirsi insieme. I videogiochi nei social agevolano soprattutto le relazioni “distanti” superando la lontananza geografica o le difficoltà relazionali. Avanza e vince nel social game chi riesce a contattare più persone: i giocatori chiedono il coinvolgimento di familiari e parenti certi che non rifiutino l’invito a entrare in sfida. Il contatto inizialmente fatto con fini utilitaristici – per risultare vincenti nel gioco – diventa facilmente occasione per recuperare un rapporto trascurato e per avere argomenti di conversazione con nonni e zii con i quali i ragazzi spesso non hanno altro di cui parlare. Si aprono spazi di comunicazione e di condivisione impensati, che da virtuali diventano reali, consolidando le relazioni parentali, come dimostrano studi recenti.

Può un videogioco offrire indicazioni morali positive?

Le ultimissime ricerche sui videogiochi stanno scoprendo l’esistenza del valore della moralità. Si sta notando, per esempio, che giocare il personaggio violento ma buono non solo non aumenta l’aggressività ma accresce un comportamento pro-sociale. Si sta perciò iniziando a pensare ai videogiochi come strumento per educare alla moralità. Anche il libro e il film possono fare propaganda morale, ma il videogioco, in quanto narrativo e interattivo, chiama la persona a porsi in contesti situati e a fare scelte morali. Se si fa un errore morale in un videogioco, da una parte si sta tranquilli perché il contesto è sicuro e le conseguenze sono simulate; dall’altra si ha la possibilità di riflettere sui propri errori e sulle loro conseguenze. Si possono comprendere meglio gli effetti di comportamenti sbagliati: se supportati da educatori, i ragazzi grazie ai videogiochi, sviluppano una buona capacità di discernimento. Il videogioco diventa dunque uno strumento importante di apprendimento.