Territorio
Walter Nocito (Unical): il ddl Calderoli taglia le gambe al Mezzogiorno
Intervista al docente di diritto pubblico dell’Unical. Bisogna prima mettere a punto i LEP
Professore, che idea si è fatto di questa proposta di legge?
Questo è un disegno di legge che è partito con il governo Meloni già nell’autunno del 2022 ed è diventato oggetto di uno scambio tra le due forze politiche prevalenti: la Lega da un lato che la chiede, Fratelli d’Italia dall’altro che la concede, ed è il progetto che svolge l’attuazione di un disegno che era già negli anni Novanta di Gianfranco Miglio. Il cuore della proposta viene da Milano e dal Lombardo-Veneto, dalla base elettorale della Lega, che ora ha una speranza di raggiungere un obiettivo storico, anche se la speranza concreta dell’approvazione sarà dopo le elezioni europee, quando ripartirà il dibattito parlamentare. Abbiamo quindi una pausa di qualche giorno. Nel frattempo va avanti la questione del premierato, l’elezione diretta del Capo dello Stato che Fratelli d’Italia che chiede alla Lega.
Lei fa riferimento a questo sogno della Lega, un sogno dal quale è evidentemente fuori il Sud?
Il Sud è fuori, nel senso che il Sud è ritenuto una palla al piede. La sperequazione nel Ddl Calderoli risulta essere tracciata ma in maniera insufficiente e nessuna garanzia il Ddl Calderoli pone sui Lep, i livelli essenziali di prestazione, soprattutto sul loro finanziamento. Descrivere i Lep, come il governo ha fatto, non significa finanziarli, e questo è stato rilevato da molti soggetti tra cui la Conferenza Episcopale italiana e da alcuni Vescovi che, giustamente, lamentano uno svuotamento della cittadinanza sociale e l’erogazione di servizi sul territorio. Si tratta di testi di legge che a parole garantiscono l’uguaglianza di trattamento dei cittadini e la parità di condizioni di vita, ma la parità di condizioni di vita non ha garanzia finanziaria perché fondamentalmente così si svuota l’articolo 119 della Costituzione e in particolare i commi 3 e 4: “la legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante”.
Andando nel concreto, quali settori soffrirebbero di più se passasse la proposta di legge come è oggi?
Il settore sanitario, dei servizi sociali, dei servizi all’impiego, delle politiche del lavoro, del servizio scolastico, quindi tutto il ciclo formativo dalle scuole materne fino all’alta formazione dell’università, sarebbero differenziati per legge. Cioè ci sarebbero carriere e retribuzioni differenziati sia nella sanità sia nei servizi scolastici con aumenti salariali e incentivi maggiori dove si differenzia, cioè in regioni come Lombardia e Veneto; e abbandonati invece al minimo statale in quelle regioni che non possono differenziarli. E poi c’è un problema più generale di qualità della regolazione e dell’amministrazione che controlla le attività economiche e ambientali. Se non sono adeguatamente finanziate, se non hanno il personale e le strutture, le ARPA, gli ispettorati del lavoro, non faranno il loro mestiere, non faranno la loro funzione amministrativa in maniera standard e quindi avremo un aggravamento del già presente divario amministrativo tra pubblica amministrazione al nord, Lombardo-Veneto in particolare, e le pubbliche amministrazioni al centro-sud, il sud in particolare. La Calabria, in tutto ciò, ha perso quote di popolazione, quote di reddito e anche pezzi di pubblica amministrazione che sono stati rinzecchiti e direi addirittura desertificati. Si pensi alla sanità e alla scuola.
Secondo lei c’è una soluzione? Cioè questo disegno di legge, questa proposta, andrebbe cestinata del tutto o è migliorabile? C’è un miglioramento possibile che possa andare bene a tutti?
Non è migliorabile, io credo che questa sia una proposta che serve solo agli interessi della Lombardia e del Veneto. Non è un caso che questa sia una legge procedimentale che fa salvi però le proposte già presentate dalla Lega Lombardia e dalla Lega Veneta. E invece ci sarebbe da ragionare molto sull’articolo 119 sulla finanza territoriale.
Bisognerebbe mettere a regime prima i Lep e poi il fondo perequativo e quindi il funzionamento di un federalismo fiscale vero, cooperativo e solidale, e poi dopo consentire differenziazioni motivate su punti specifici, non su interi settori. L’art. 116 in verità è stato una scommessa della Costituzione italiana fatta ormai 24 anni fa, che non aveva prodotto nulla di buono e che adesso sta producendo addirittura risultati pericolosi, negativi, perché è stata applicata da Calderoli in maniera illogica, e se vogliamo anche anticostituzionale.
Per spiegare, l’articolo 116 pone delle deroghe nell’amministrazione e nella legislazione italiana, mentre Lombardia e Veneto vogliono fare delle deroghe la nuova regola, vogliono flessibilizzare la Costituzione e renderla materia di trattativa politica. Ma così si va a favore delle periferie ricche e quindi automaticamente a sfavore delle periferie povere.