Attualità
Volontariato obbligatorio
Così intere generazioni potrebbero tornare a capire la logica del dono.
Domenica 11 ottobre, ascoltavo il premier italiano ospite a “Che tempo che fa”. La tentazione nell’ascoltarlo era di trovare l’anello che non tiene, il punto contestabile, nonostante l’affabulazione di Matteo Renzi sia decisamente persuasiva. Non è mia competenza, né ammetto di mio particolare interesse, fare una disanima particolareggiata sulle tante affermazioni enunciate, ma su una proposta vorrei soffermarmi. Esaltando l’eccellenza italiana nell’ambito del Terzo Settore, il Presidente del Consiglio si è augurato che il numero di giovani che prestano l’anno di servizio civile volontario (2mila ragazzi nel 2013, 15mila nel 2014 e 50mila quest’anno) salga fino a 100mila l’anno prossimo. L’auspicio così autorevole mi ha indotto a cercare di tornare a ritroso all’ultimo anno in cui per legge il servizio civile/obiezione di coscienza, era sostitutivo del servizio militare. Ebbene, dati alla mano di cui non ho motivo di dubitare, intorno al 2004, con i ragazzi nati nel 1985, provate a dire a che numero si era arrivati? Oltre 100mila! Proprio il numero che il premier si augura di raggiungere dieci anni dopo con il servizio volontario. Ed allora erano solo maschi, mentre oggi il 90% dei volontari sono di sesso femminile. La domanda mi sorge spontanea: sarà che è sempre bene smantellare, piuttosto che riformare? Mi scuso per l’eventuale eccesso di ingenuità, ma mi chiedo perché abolire l’obbligo del servizio militare – cosa di cui non posso che compiacermi – abbia comportato l’abolizione dell’obbligo di un anno “donato” allo Stato, diciamo pure alla patria. Mi pare che potremmo correre il rischio di esserci privati anche di un’istituzione buona e giusta, ovvero che per legge ci sia qualcosa che siamo tenuti a fare, gratuitamente per il Paese in cui siamo nati, così com’è obbligatorio andare a scuola. Mi verrà detto che fare un anno di volontariato è potenzialmente foriero di motivazioni ed energie che spesso non si trovavano nei tanti “imbucati” che sceglievan o il servizio civile solo per evitare il grigiore della naja… C’è del vero, senz’altro… ma il mio pensiero va a quei tanti e tanti maschi italici che oggi non sentono più il dovere di fare niente altro che non sia per se stessi (e questi forse sono già quelli “motivati”, mentre molti non hanno neanche l’ambizione di diventare qualcuno e fare qualcosa). Perché lasciare alla coscienza individuale o alla morale religiosa l’onere di un impegno di altruismo? Perché non indurlo, chiedendo a tutti – a questo punto a maschi e femmine com’è oggi, – nel passaggio fra la fine degli studi e l’inizio dell’attività lavorativa (quale lavoro è dramma sul quale qui sorvolo), di offrire alla collettività un anno della propria forza, della propria volontà, delle proprie competenze, con ovvio particolare riguardo a tutti i settori di bisogno che sono assolutamente evidenti sul nostro territorio nazionale. Non è anche questa educazione? E non è prestare un servizio di volontariato una forma di “protezione” che può egregiamente sostituire l’indossare una divisa militare, onore che con immenso rispetto possiamo lasciare a chi scelga professionalmente quella strada? Insomma, non so se stia enunciando un principio incostituzionale, ma credo nell’obbligatorietà di un anno di volontariato: una contraddizione in termini che reputo felice e che mi pare la strada maestra per sperare che fra qualche anno, fra la generazione che si affaccia adesso all’età adulta vi possano essere ancora persone capaci di dono, mature in gratuità, proprio come la maggior parte dei 18 nuovi ufficiali, cavalieri e commendatori nominati dal Presidente Mattarella. Sono uomini (e donne) del dono, persone che hanno sentito il bisogno di dare di più: un’attitudine non spontanea, ma che si impara: in famiglia, a scuola, ma anche con la paterna induzione delle nostre istituzioni. Sogno giovani uomini capaci di donare e di donarsi e che nessuno di loro possa fingere di credere che dare la vita sia esclusiva fe mminile.