Territorio
I tempi morti del pronto soccorso cosentino
In una giornata in pronto soccorso ci si imbatte spesso in lunghe ore di attesa e mancanza di attenzioni da parte del personale medico.
Il nostro viaggio all’interno dell’ospedale Annunziata di Cosenza continua. La scorsa settimana vi abbiamo descritto in quali condizioni si ritrova oggi il nosocomio cittadino. Questa settimana, prima ancora si fermarci nelle corsie, abbiamo fatto una sosta al pronto soccorso. Siamo stati in compagnia dei malati in attesa di entrare nel cosiddetto Triage, lì dove vengono decise e valutate le priorità degli interventi in base alla gravità. Abbiamo incontrato tanti cittadini che hanno accompagnato un familiare in ospedale per delle cure urgenti e meno urgenti. Che dire, un vero caos.
I vigilanti della sicurezza ogni giorno sono in serie difficoltà. Allo scoccare del minuto c’è una lite, un rimprovero da parte del cittadino per la lentezza e le lunghe attese. E se nel frattempo arriva la segnalazione di un codice rosso è la fine. Scatta il black out. Tutto si ferma. Non c’è personale, all’ingresso del pronto soccorso non si trova una carrozzina, solo dopo aver alzato la voce con l’addetto alla vigilanza, perché è l’unico che si interfaccia con il pubblico, e atteso per oltre mezz’ora si riesce a varcare quella porticina dove è possibile richiedere l’accettazione. Una volta registrati si entra nella sala d’attesa pazienti ormai divenuta un’area di parcheggio. Davanti ai nostri occhi un accampamento di malati. Scene davvero strazianti. Nel corridoio si intravede qualche infermiere ma parlarci è davvero un’impresa, dalle loro bocche sentiamo pronunciare “c’è una guerra, stasera c’è una guerra”. Ci sono malati con coliche renali, anziani con difficoltà respiratorie, nel frattempo arriva una persona che ha appena avuto un incidente stradale con il volto tumefatto, dolorante, il corpo cosparso di sangue, e di un dottore nemmeno l’ombra. Fino a quando il familiare si ribella contro gli infermieri che non le danno retta e va direttamente dal medico, che con tono abbastanza pronunciato chiede di avere pazienza. Le condizioni sono gravi. Mentre la sala pazienti è ormai piena tanto che gli altri malati vengono portati in un’altra sala d’attesa, i dottori chiusi nelle loro stanze sono presi dalla documentazione e dai referti medici oppure sono in attesa che il computer si sblocchi perché la linea di rete si è bloccata. Un vero problema che rallenta il loro lavoro in quanto tutti gli esami ora viaggiano online. Vediamo che il signore arrivato in pronto soccorso per un incidente stradale viene soccorso e portato nella stanza medica per cucire la ferita. Ma non c’è il filo. Poco più in là percorrendo questo corridoio centrale diamo una sbirciata nelle sale di “breve” osservazione, dove troviamo tanti malati. Una stanza contiene dai tre ai sei letti, senza alcuna distinzione tra maschi e femmine. Un operatore socio-sanitario sentendo le lamentele dei pazienti per giustificarsi dell’affollamento si lascia sfuggire “questo pronto soccorso è diventato un reparto dove non si capisce ormai più nulla”. Qui ci sono anche malati terminali. Incontriamo una signora, che assiste una parente affetta dall’Alzheimer e da un tumore allo stomaco ormai in fase avanzata, disperata. Da oltre una settimana è lì in condizioni drammatiche, ci racconta che per sostituire la flebo o cambiare il pannolone o il catetere pieno è veramente difficile. Dopo un’intera giornata, nonostante aver sollecitato più volte gli infermieri e il medico, nessuno è andato a vedere di cosa avesse bisogno la paziente ormai in fin di vita. Ma non è finita qui. Lo scenario è devastante. Ci imbattiamo in un caso ancora più grave. Una paziente con infarto in corso ha una crisi respiratoria, le sue condizioni sono molto gravi, viene portata in Terapia Intensiva. Il marito, anche lui malato di cuore, appena capisce che sta per perdere la moglie preso dal dolore sviene. La scena è davvero lancinante. A soccorrerlo i pazienti che sono in attesa di ricevere cure. Lungo quel corridoio un continuo via vai.
Una ragazza chiede ad un infermiere un po’ di cotone e questo risponde “vai a cercarlo da sola nei cassetti”, oppure c’è chi chiede un paio di lenzuola pulite, stessa risposta “vai a vedere se li trovi in quello stanzino”. Siamo appena entrati in pronto soccorso, un luogo dove il diritto alla dignità personale non esiste più. Siamo solo all’inizio di questo brutto viaggio, ma dobbiamo farlo, soprattutto per dare voce a chi soffre. Se anche voi avete da segnalarci la vostra disavventura in pronto soccorso contattateci scrivendo una mail all’indirizzo paroladivita@alice.it.