Territorio
Un coro di migranti a Camigliatello
Nella chiesa dei Santi Roberto e Biagio un gruppo di giovani provenienti dalla Nigeria anima la messa domenicale
Quando arriviamo li troviamo seduti tra i banchi. Seguono la celebrazione in silenzio. Provengono tutti dalla Nigeria. Si chiamano Ogene, Festus, Promise, Ekene, Jude… e sono ospiti di un centro di accoglienza nel cuore della Sila, nei pressi di Camigliatello. Ogni domenica si incamminano per andare a messa nella chiesa di San Roberto e Biagio situata alle spalle del corso principale del centro turistico del nostro altopiano.
Ad accoglierli, ogni settimana, trovano il parroco fra Salvatore Verardi che ci racconta di come tutta la comunità sta lavorando per accogliere e far integrare questo bel gruppetto di fratelli cristiani provenienti dall’africa. “Inizialmente i primi contatti furono per cibo, vestiti, coperte e qualche branda; abbiamo dato quello che avevamo e potevamo. Poi abbiamo dovuto far fronte ad alcuni piccoli episodi di insofferenza nei confronti di questi ragazzi ritenuti in qualche modo responsabili di far allontanare i turisti”, ci racconta fra Salvatore, sottolineando come le “difficoltà di sviluppo del nostro territorio sono legate ad altre dinamiche e non certamente alla presenza di uno sparuto gruppetto di immigrati”. Oggi quel gruppetto di ragazzi contribuisce ad animare la messa domenicale preparando il canto finale in inglese. “La cosa è nata spontaneamente” ci spiega ancora don Salvatore. “Le prime domeniche venivano a messa. Dopo qualche settimana abbiamo pensato di fargli leggere il Vangelo anche in inglese dopo che il sacerdote l’aveva proclamato. Poi ci hanno chiesto di poter collaborare in qualche attività della parrocchia e, vista la loro inclinazione al canto, li abbiamo indirizzati a preparare ed eseguire il canto finale. Si tratta di un modo per farli sentire parte della comunità, di integrarli, di farli sentire meno soli. C’è anche in progetto di iniziare a fare degli incontri settimanali nel salone parrocchiale per aiutarli nel migliorar la lingua e farli così meglio integrare nel tessuto sociale della nostra comunità, perchè ora, dopo la prima fase di accoglienza, siamo chiamati a far capire che sono nostri fratelli dei quali non dobbiamo avere paura”.