Cultura
La misericordia in Shakespeare
La confusione tra l'essere e l'avere in un tempo nel quale il denaro è moneta di scambio con la stessa vita dell'uomo
L’uomo, un valore di scambio. A tal punto i soldi sono entrati a far parte del suo vissuto che non riesce più a distinguere il danaro dalla vita; le stesse relazioni sono compromesse e ridotte a merce. È quanto accade ne Il Mercante di Venezia, celebre commedia in cinque atti di William Shakespeare, pubblicata a Londra nel 1600.
Antonio, un ricco mercante di Venezia e Shylock, un avaro usuraio, fanno un patto: il primo garantisce all’altro il pagamento di 3000 scudi ma, se verrà meno all’impegno pattuito, sarà costretto a dare al suo creditore una libbra della sua carne. Dietro questa richiesta così strana e inconsueta, si nasconde, latente, l’idea di una mercificazione della vita e dei sentimenti. La vita, una cosa come un’altra su cui patteggiare; la carne umana qualcosa da comprare e vendere. Ma perché a Venezia la vita è divenuta merce? Perché si può scambiare il danaro con la carne? La risposta è semplice: a Venezia governa l’economia; il commercio guida la politica della città. La legge è retta dal danaro; il diritto ha reso gli uomini incapaci di riconoscersi e di distinguersi come differenti dalle cose. Antonio e Shylock si odiano perché rivali. Fanno lo stesso mestiere: entrambi prestano soldi, l’uno senza chiedere nulla in cambio; l’altro facendo usura. Entrambi generano comportamenti squilibrati: il primo mostrando una generosità simulata che rende il debitore sempre dipendente al suo creditore; il secondo approfittando delle difficoltà economiche altrui. Sono in maniera differente colpevoli di mercificare l’esistenza, di rendere i sentimenti oggetto di scambio. Ma Shylok, più di Antonio, mostra di essere vittima consumata di questo sistema che pone al suo centro il denaro anziché l’uomo: è logorato da un malvagio e persistente desiderio di vendetta che per nulla vuole abbandonare.
Compare, allora, sulla scena la misericordia che risuona nella corte di giustizia per bocca del Doge, personificazione della giustizia veneziana: “Mi dispiace per te (dice rivolgendosi ad Antonio) – sei venuto ad affrontare un nemico di pietra, un essere disumano, incapace di pietà, vuoto e privo di un solo grammo di misericordia”. E più avanti, parlando all’usuraio: “Come puoi tu sperar pietà dal cielo, se non usi pietà verso il tuo prossimo?”. Aspra la risposta di Shylock, convinto di esser nel giusto perché dalla parte della legge, in tutto da lui rispettata: “Qual giudizio dovrò io mai temere dal cielo, se non ho commesso male? … Quella libra di carne che pretendo da lui io l’ho pagata a caro prezzo: è mia, e voglio averla! E se me la negate, sarà vergogna alla vostra giustizia. Vorrà dire in tal caso che a Venezia non c’è forza di legge”. La scelta di Shylock, secondo la legge veneziana, è giusta.
Una legge fatta dall’uomo ma non per l’uomo non può che legalizzare un gesto che attenta alla sua stessa vita. Ancora più accorato l’invito alla misericordia di Porzia, la donna travestita da avvocato che determinerà il lieto fine della vicenda: “Per sua natura la misericordia non è un obbligo, cade dal cielo sulla terra in basso come la pioggia gentile. È due volte benedetta, benedice colui che la esercita e colui che la riceve, essa ha il suo trono nei cuori dei Re, la Misericordia è un attributo dello stesso Dio. Il potere terreno appare più simile a quello di Dio, quando la misericordia tempera la giustizia…noi chiediamo misericordia, e quella stessa preghiera insegna a noi tutti a compierne atti di clemenza”. La misericordia più di ogni altra cosa ci rende simili a Dio; la misericordia che noi imploriamo ci impone di essere misericordiosi a nostra volta: non esiste altro modo per ottenere misericordia se non quello di concederla, noi per primi, ai nostri nemici. Così facendo mostriamo di avere in terra un potere simile a quello di Dio – ricorda Shakespeare -, perché l’amore redime e, allo stesso tempo, dirime ogni ingiustizia.
Difficile oggi come allora donare misericordia e, ancor di più realizzare una società governata da una “giusta legge”, in grado di ristabilire un ordine valoriale che, riconoscendo la piena e indiscussa dignità della persona, assegni valore supremo e assoluto alla vita umana.
Il Mercante di Venezia citato da Papa Francesco
Papa Francesco ha citato Il Mercante di Venezia di Shakespere nel messaggio per la 50ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali (8 maggio 2016), dal titolo “Comunicazione e Misericordia: un incontro fecondo”. Il Pontefice ha ricordato il potere delle parole e delle azioni capaci di creare ponti e di favorire l’incontro. La parola del cristiano deve far crescere la comunione “e, anche quando deve condannare con fermezza il male, cerca di non spezzare mai la relazione e la comunicazione”. Fondamentale perciò la misericordia “capace di attivare un nuovo modo di parlare e di dialogare, come ha così eloquentemente espresso Shakespeare: ‘La misericordia non è un obbligo. Scende dal cielo come il refrigerio della pioggia sulla terra. È una doppia benedizione: benedice chi la dà e chi la riceve’ (Il mercante di Venezia, Atto IV, Scena I)”. Nell’udienza del 3 febbraio scorso, invece, è tornato sul binomio “misericordia e giustizia”: “La Sacra Scrittura ci presenta Dio come misericordia infinita, ma anche come giustizia perfetta. Come conciliare le due cose?”. Se ci attacchiamo alla legge, se ci preoccupiamo soprattutto di punire il colpevole, non facciamo giustizia: “è solo rispondendo ad esso con il bene che il male può essere veramente vinto”. Perdonando il male, la persona è in grado di riconoscere il suo errore e di ravvedersi. Perché il perdono apre una breccia che porta luce nel cuore dell’uomo, risanandolo: “solo così la giustizia può trionfare, perché, se il colpevole riconosce il male fatto e smette di farlo, ecco che il male non c’è più, e colui che era ingiusto diventa giusto, perché perdonato e aiutato a ritrovare la via del bene”.