Via Crucis: entro e oltre la devozione

Approfondiamo la presentazione del rito attraverso un documento Vaticano, che proponiamo in allegato

La Chiesa ha conservato memoria viva delle parole e degli avvenimenti degli ultimi giorni del suo Sposo e Signore. Memoria affettuosa, se pure dolorosa del tratto che Gesù percorse dal Monte degli ulivi al Monte Calvario. La Chiesa infatti sa che in ogni episodio accaduto durante quel cammino si cela un mistero di grazia, è racchiuso un gesto di amore per lei”. Recita così la presentazione della pratica della Via Crucis dell’Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice a firma di monsignor Piero Marini, Maestro delle celebrazioni. Dentro la devozione e oltre. Così si può riassumere il documento. L’amore della Chiesa verso il Signore Gesù e verso i luoghi santi da esso percorsi ha portato, sin dal Medioevo, ad una rappresentazione e memoria, anche popolare, della beata Passione e morte del Figlio di Dio. Ma allo stesso tempo la Via della Croce rappresenta per il credente un’occasione per penetrare più profondamente il Mistero stesso. “Partecipando alla Via Crucis – recita la presentazione – ogni discepolo di Gesù deve riaffermare la propria adesione al Maestro: per piangere il proprio peccato come Pietro; per aprirsi, come il Buon Ladrone, alla fede in Gesù, Messia sofferente; per restare presso la Croce di Cristo, come la Madre e il discepolo, e lì accogliere con essi la Parola che salva, il Sangue che purifica, lo Spirito che dà la vita”. Il documento evidenzia la genesi storica della Via Crucis, a partire da San Bernardo da Chiaravalle, San Francesco d’Assisi e San Bonaventura da Bagnoregio; pone l’accento sulla “varietà delle stazioni” e sulla distinzione tra la Via Crucis tradizionale, “attestata in Spagna nella prima metà del secolo XV, soprattutto in ambienti francescani” e la Via Crucis biblica, per intenderci quella presieduta dal Papa al Colosseo il Venerdì santo, che “presenta alcune varianti nei «soggetti» delle stazioni”.