Autenticità e verità della Sindone

Nuove analisi hanno dimostrato che l’antico reperto proviene da Gerusalemme e che le macchie rosse su di esso sono riconducibili al martirio di Gesù 

La Sindone è la reliquia più importante per i cristiani ed è un misterioso oggetto di ricerca per gli scienziati. La sua visione non lascia indifferenti e genera una forza tale da smuovere le coscienze, coinvolgendo tutta la sensibilità umana e aprendo uno squarcio profondo, sia nella sfera intima che in quella pubblica. Questo telo rettangolare di puro lino, lungo 4,36 metri e largo 1,10 metri, reca su di sé l’immagine di un uomo maschio adulto, con la barba, i capelli lunghi e i segni di evidenti torture. La tradizione cristiana – al di là degli studi sperimentali condotti per appurarne la veridicità – lo identifica come testimone simbolico dell’evento pasquale, da cui ha avuto origine la vita cristiana, e come documento sacro interno alla storia della Chiesa vivente.

Comparsa a Lirey in Francia nel 1353 e giunta a Torino, dov’è tuttora custodita, in seguito a varie peregrinazioni, la Sindone è stata circondata da manifestazioni pubbliche che hanno assunto, nel corso dei secoli, forme di devozione e di pietà popolare, che l’hanno resa un mezzo per venerare la somma umanità di Cristo, da cui è scaturita la redenzione. Il lenzuolo, nel quale sarebbe stato avvolto per i cattolici il cadavere di Gesù, viene fotografato per la prima volta nel 1898 da Secondo Pia, che scopre che l’immagine sul negativo appare come un positivo.

Si può dire che la “Sindonologia”, come disciplina di studio, nasca proprio da quelle lastre prodotte dall’avvocato e fotografo piemontese e che, da quel momento in poi, l’interesse per la problematica scientifica abbia tenuto banco in tutti i dibattiti intorno al prezioso reperto. Tante sono state le ostensioni del sacro panno. Tra le ultime ricordiamo quelle del 1978, 1998, 2000, 2010 e 2013 (solo televisiva), 2015 e ad aprile del 2020 (in occasione del sabato santo durante il covid-19). A maggio 2025 se ne terrà un’altra riservata ai giovani, mentre per gli altri ci saranno nuove modalità di contatto. Nel 1959 viene istituito il Centro Internazionale di studi sulla Sindone (CISS), allo scopo di promuovere ricerche coinvolgendo esperti in più settori, mentre nel 1998 sorge il museo destinato all’adorazione, divulgazione e conoscenza del sacro tessuto.

La doppia periodizzazione e i testimoni

Una delle questioni più dibattute  e connesse al riconoscimento dell’autenticità del santo sudario riguarda la datazione. Gian Maria Zaccone, direttore scientifico del Museo della Sindone nonché direttore del Centro Internazionale di studi sulla Sindone, nel suo saggio “La Sindone nella storia e nella vita della Chiesa. Proposta di una nuova periodizzazione”, contenuto nel testo “Guardare la Sindone. Cinquecento anni di liturgia sindonica” “(Effatà editrice, 2007), ricorda che si è tradizionalmente giunti a identificare due periodi: quello precedente la comparsa del telo in Europa (metà del trecento) e quello successivo. La devozione verso questo lenzuolo nasce fin dai primi secoli della storia della Chiesa, con testimonianze che vanno dalle catechesi di Cirillo di Gerusalemme, alla difesa delle immagini cristiane contro l’iconoclastia fatta da Giovanni Damasceno. Troviamo prove dell’esistenza del tessuto di lino nelle parole usate da San Girolamo nel suo De Viris illustribus, ma anche nel Vangelo degli Ebrei (II secolo) e nel Vangelo di Giovanni, che parla di un “sudario usato da Gesù”. Parte dei fautori della datazione anteriore al 1353 sostiene che la Sindone di Torino sarebbe da identificare con il “Mandylion” o “Immagine di Edessa” (attuale Urfa nella Turchia meridionale), un’icona di Gesù venerata dai cristiani d’Oriente e scomparsa nel 1204. La somiglianza tra il volto sindonico, la figura di Edessa e altre raffigurazioni di Cristo, conosciute nell’arte orientale e occidentale, è evidente e deve essere il risultato di una dipendenza di un’immagine dall’altra e di tutte da una fonte comune – come sostiene l’esperta Emanuela Marinelli. Nel Medioevo si intensifica l’adorazione nei confronti della Passione e del lenzuolo funebre di Cristo, grazie anche agli esempi di forte spiritualità rappresentati da San Bernardo e da San Francesco. Nel 1506 papa Giulio II, dinnanzi al dilagare del culto pubblico nei confronti della Sindone, approva la Messa e l’Ufficio in suo onore fissandone la festa il 4 maggio. Il periodo trionfale è durante il Concilio di Trento a partire dal 1545, quando i solenni apparati delle ostensioni e la diffusione iconografica fanno del telo di lino un oggetto privilegiato di catechesi. Il secolo dei lumi è caratterizzato da un ridimensionamento delle ostensioni e da una certa critica di matrice laica, nonostante le forme di pietà popolare continuino a perdurare. Tra ottocento e novecento si assiste alla propagazione delle ricerche in campo scientifico, che devono inevitabilmente fare i conti con le esigenze religiose al fine di inquadrare storicamente il reperto.

Le ricerche scientifiche

Falso documento o prova autentica? È l’enigma che da sempre gli scienziati stanno cercando di risolvere. Nel 1988 i tre prestigiosi laboratori di Oxford, Tucson e Zurigo eseguono un test su un campione prelevato appositamente dal santo tessuto, impiegando la tecnica radiometrica del carbonio-14. Quest’ultima è in grado di stabilire ora e data di produzione di un oggetto, basandosi sul decadimento di un isotopo radioattivo di carbonio. Il risultato dell’esame stabilisce una datazione compresa tra il 1260 e il 1390, suggerendo che il manufatto sia un falso o al più un’opera realizzata da un raffinato artigiano medioevale. Il problema della datazione è recentemente ritornato in auge grazie all’ultima scoperta, fatta da un gruppo di scienziati italiani dell’Istituto di Cristallografia del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Il team ha utilizzato la tecnica basata sui raggi X ad ampio angolo chiamata “Wide Angle X-ray Scattering” (WAXS), che misura l’invecchiamento naturale della cellulosa di lino, convertendolo in tempo trascorso dalla produzione. Gli esperti hanno fatto ricorso a parametri di invecchiamento specifici, tra cui temperatura e umidità, che provocano la degradazione della cellulosa. Raccogliendo e analizzando i risultati ottenuti, hanno stabilito che la Sindone sarebbe stata conservata a circa 23 gradi e con un’umidità pari al 55% per 13 secoli, prima di giungere in Europa. In più hanno confrontato la scomposizione della cellulosa, presente nel sudario, con quella di un tessuto di lino rinvenuto a Masada (Israele) verso il I secolo, confermando la loro perfetta compatibilità. Nessuna similitudine, invece, con i campioni di lino ricondotti al periodo tra il 1260 e il 1390 d.C., forse non appartenenti alla stoffa originale ma a una delle riparazioni compiute in seguito. “I campioni di tessuto sono solitamente soggetti a tutti i tipi di contaminazione, che non possono essere completamente rimossi dal campione datato. Se la procedura di pulizia del campione non viene eseguita accuratamente, la datazione al carbonio-14 non è affidabile” ha riferito il dott. Liberato De Caro, leader del team di ricerca. Altre prove hanno dimostrato che quando ci si sposta dalla periferia al centro del foglio, in corrispondenza del lato più lungo, si verifica un aumento significativo del carbonio-14. Se fosse vera l’ipotesi medioevale, allora il panno di lino avrebbe dovuto essere conservato, per sette secoli, ad una temperatura ambientale vicina ai valori della terra. L’innovativo studio italiano, pubblicato sulla rivista Heritage, andrebbe quindi a contraddire la precedente indagine degli anni ottanta, dando prova dell’autenticità religiosa della Sindone, che risalirebbe quindi all’epoca di Cristo (circa 2000 anni fa). Ciò troverebbe conferma nel Vangelo di Matteo, in cui si afferma che Giuseppe D’Arimatea avvolse il corpo del suo maestro in un sudario di lino deponendolo in una tomba.

Un’altra prova dell’appartenenza del sudario a Gesù viene dallo studio condotto da Giulio Fanti, docente all’ateneo di Padova nonché appassionato del santo telo. Il ricercatore ha ripreso in mano i risultati di un’indagine scientifica del 1978, condotta da due gruppi di ricerca americano e italiano. I due team furono autorizzati a premere delle strisce adesive sul santo lenzuolo, ad asportare delle particelle, a prelevare alcuni fili e a raccogliere eventuali residui di fibre con un microscopico aspirapolvere. In seguito tentarono di analizzare le macchie di sangue ma i risultati furono contrastanti: secondo alcuni si trattava di pigmenti aggiunti da un pittore, per altri era vero sangue. Ora Fanti ha vagliato nuovamente i campioni di tessuto estratti dal lenzuolo negli anni settanta, impiegando moderni microscopi capaci di evidenziare i dettagli delle piccole particelle di sangue. Ha così accertato che esse rimanderebbero effettivamente all’atroce morte del Signore in croce. L’esperto ha inoltre rilevato la presenza di emoglobina e di due diversi tipi di sangue dei gruppi A e B, rispettivamente, il sangue post mortem costituito da microciti che indicano la sofferenza respiratoria sulla croce, e quello coagulato prima della morte durante il calvario o sulla croce prima di spirare. Entrambe le tipologie possiedono materiali terrosi (argilla smectica e illite) presenti a Gerusalemme, a riprova dell’origine mediorientale e non europea della Sindone. La presenza di queste sostanze è dovuta al fatto che il cadavere di Gesù, quasi sicuramente, non fu lavato ma deposto velocemente nel sepolcro, come ricorda anche Marco riferendosi a Giuseppe d’Arimatea: “acquistò un lenzuolo, avvolse il corpo e lo depose in un sepolcro scavato nella roccia” (15:46). Questo comprova il fatto che si tratti di vero sangue, fuoriuscito da ferite profonde, e non di inchiostro o vernice. L’analisi ha messo in luce anche la presenza di creatina, una sostanza rilasciata nel sangue quando una persona è soggetta a traumi muscolari o quando cervello, cuore o muscoli vengono danneggiati. Secondo lo studioso, l’alta percentuale di questa sostanza nel sangue può essere spiegata per il semplice fatto che Gesù, prima di morire, avrebbe avuto poco sangue nei reni e in tutto il corpo e che, con molta probabilità, era disidratato. Quest’ultimo fatto spiegherebbe le parole del Messia “Ho sete” come riportate nel Vangelo di Giovanni (19:28). Un’altra prova addotta da Fanti è che Gesù soffrì di sindrome uremica, determinata da una malattia renale o da un trauma contusivo agli organi. Consiste nell’incapacità del soggetto di eliminare dai reni i prodotti di scarto. Questo, forse, dovuto alle flagellazioni subite dal Messia e ordinate da Pilato. Lo studio è stato pubblicato sull’Archives of Hematologyy Case Reports and Reviews.

Le novità non finiscono qui. Il gruppo di ricerca “Stile arte” ha avanzato l’ipotesi che la Sindone sia stata oggetto di interventi di evidenziazione o di restauro compiuti, verso la fine del Quattrocento, sui materiali più antichi da un artista di assoluto livello tecnico, forse vicino a Leonardo. Costui avrebbe operato sul sacro lenzuolo per mettere più in rilievo l’immagine impressa su di esso, in vista della pubblica ostensione nella cappella francese dei Savoia. Avrebbe potenziato il manufatto con grafemi e operazioni pittoriche, usando un pigmento ocra scuro allungato nell’acqua, costituito da materiale rugginoso e applicato con un pennello inumidito. Il risultato è stata la creazione, con l’uso di alcune torce avvicinate al panno, di un effetto retro-illuminato, che ha permesso all’immagine di essere percepita ad una certa distanza e di scomparire, invece, approssimandosi ad essa. Il genio fu chiamato probabilmente allo scopo di potenziare la leggibilità delle macchie originarie, per ottenere un certo esito durante l’esposizione. Le tracce di sangue, realizzate o potenziate con il pennino, dovevano costituire il limpido punto di messa a fuoco del telo da parte dell’osservatore. L’occhio focalizzava le linee sottili rosso-ruggine, e tutto ciò che stava dietro di esse doveva dare l’idea della tridimensionalità. L’artista unì diversi nuclei espressivi autonomi dando alle macchie una certa valenza simbolica. I vari nuclei dovevano generare una sensazione di comparsa e di scomparsa, simile ad un movimento vibrante, durante l’accensione delle torce, la cui fiamma oscillava a causa dello spostamento nella sala dei fedeli o per correnti d’aria. In più gli esperti di Stile arte hanno notato la presenza di un crocefisso che diventa un cartiglio, in cui il volto appare conchiuso se osservato dal capo al mento. Ruotando l’immagine compare la figura di una colomba adagiata su un’ancora. Forse l’artista rinascimentale operò anche in chiave simbolica e spirituale. Quest’intervento pittorico non vuole sostenere la vecchia ipotesi della falsità della santa stoffa, ma la cura e il potenziamento in vista della sua venerazione pubblica in un dato periodo storico.    

IA e Sindone

Alcuni giornalisti del Daily Mail hanno interrogato il motore di IA Marlin, chiedendo se era possibile ricostruire un’immagine reale del volto di Cristo a partire proprio dal sacro panno torinese. Lo strumento ha restituito in breve tempo un risultato stupefacente: la figura di un uomo con la barba, i capelli scuri, gli occhi azzurri e delle cicatrici sul volto che ricordano i patimenti di Gesù. Resta una mera ipotesi che rende ugualmente intrigante l’esperienza della Sindone, “Specchio del Vangelo” e “provocazione all’intelligenza”– come la definì Giovanni Paolo II –  a cui non è possibile approssimarsi se non con un misto di fede e mistero. Al di là dell’approccio scientifico è innegabile il valore prioritario dell’immagine, la cui comprensione – come sostenne in passato il defunto mons. Giuseppe Ghiberti, studioso e appassionato del santo sudario – è “prescientifica in quanto oggettiva”. Si avverte in essa – sempre secondo il presule piemontese – “una componente di suggestività inspiegabile, non soggetta a ondeggiamenti neppure quando la scienza sembra poter dare una spiegazione settoriale di qualche aspetto di problematicità”.