Cultura
Cosenza e le sue epidemie. Un percorso storico
Lungo i secoli la città di Cosenza e la sua provincia furono colpite più volte. Tra le più note epidemie la peste del 1656 e l’epidemia di colera del 1837.
Le cronache di oggi sono sature di riferimenti al virus che, partendo dalla Cina, è ormai giunto in Italia e nel resto del mondo. È grande la paura di una forte epidemia ma, guardando in retrospettiva la storia calabrese, si può comprendere come si tratti di una paura atavica, visto che quella delle epidemie è stata una delle più grandi preoccupazioni nel corso dei secoli.
Alcuni storici si spingono a citare epidemie verificatesi in Calabria sin dall’epoca romana ma, se di certo eventi del genere non dovettero essere rari, per la carenza di fonti è comunque arduo analizzarli. Man mano che ci si avvicina agli ultimi secoli, invece, le fonti ci forniscono una quantità maggiore di informazioni. Alcuni fattori si ripresentano ciclicamente, come la mancanza di igiene, la paura, i disordini tra la popolazione.
Molti autori locali accennano ad una pestilenza avvenuta nel 1576. È l’evento cui si riconduce per tradizione la nascita del culto verso la Madonna del Pilerio a Cosenza, città che sarebbe stata liberata dalla peste quando un devoto in preghiera notò sull’icona un bubbone comparire sulla guancia della Vergine. Le fonti locali dell’epoca, però, non contengono riferimenti significativi ad un contagio nel cosentino in quell’anno e le prime attestazioni del culto del Pilerio sono comunque più antiche.
Particolarmente dura fu l’epidemia di peste del 1656, che colpì tutto il Regno di Napoli giungendo anche a Cosenza e mostrando un altissimo tasso di mortalità. In città questa epidemia è legata alla nomina a protettrice della Vergine Immacolata venerata nella chiesa di S. Francesco d’Assisi. Secondo fonti dell’epoca, Cosenza venne liberata dalla peste dopo la morte del frate Bonaventura da Casabona e dopo aver rinnovato il voto alla Vergine, cosa che da allora si fece annualmente.
La peste minacciò nuovamente il cosentino nel 1743 dopo che si era diffusa a Messina e a Reggio. Le autorità cittadine decisero di istituire dei “cordoni” all’ingresso della provincia, presidiando i confini con truppe di soldati e volontari per non permettere a persone e cose infette di giungere in provincia. Nel ‘700 si ritrovano dunque molte delle misure precauzionali valide ancora oggi, come controllo di confini e quarantena di merci e persone prima dell’accesso sul territorio. Simili precauzioni vennero prese nuovamente nel 1767 in occasione di un altro contagio.
Il XIX secolo fu interessato da diverse epidemie, la più nota delle quali fu il “cholera asiatico” del 1837. Scoppiato l’anno precedente a Napoli, a luglio si iniziarono a registrare i primi casi a Cosenza dopo che il morbo era giunto da Nord nonostante i cordoni sanitari. Il numero dei contagiati aumentò rapidamente; chi poté, lasciò la città per rifugiarsi nei paesi vicini, mentre venne predisposto un lazzaretto nel convento della Riforma. Come in un racconto di manzoniana memoria, anche nel cosentino furono molte le accuse di seminare il morbo con polverine o intrugli vari, arrivando in alcuni episodi quasi al linciaggio e in altri a vere e proprie condanne a morte.
Il colera si ripresentò nel 1866, portato secondo alcune fonti da alcuni soldati congedati. Le misure erano le solite, dal cordone sanitario alle pulizie straordinarie in città, ma iniziavano a diffondersi anche cure più efficaci. Anche in questo caso non mancarono gli isterismi, come a Longobucco, dove nell’agosto 1867 la popolazione presa da disperazione per i molti contagi uccise il sindaco e altri amministratori locali.
Nonostante le epidemie fossero ancora all’ordine del giorno, le scene di isterismo collettivo diventarono fortunatamente più rare, fino al caso di Verbicaro. Qui, nel 1911, dopo una epidemia di colera che aveva causato un picco di decessi, circa 1200 persone insorsero contro gli amministratori accusati di spargere il morbo e si contarono alcuni morti.
Una delle ultime epidemie che colpì in modo grave la Calabria fu la cosiddetta “influenza spagnola”, che nel 1918 causò milioni di vittime in tutto il mondo tanto da essere considerata la più grave pandemia della storia dell’umanità. La spagnola colpì anche Cosenza e i centri della sua provincia soprattutto da settembre di quell’anno, aggravata dalle condizioni igieniche precarie e dalla scarsa alimentazione, conseguenze anche della I Guerra mondiale ancora in corso. Le vittime furono tantissime anche in questa occasione e, come precauzione, si fecero imbiancare le gli edifici per maggiore pulizia, si bloccò l’apertura delle scuole e si impedirono altri eventi che prevedevano alti afflussi di persone.