Microprogetti per i migranti. Ma nelle terre difficili

La Fondazione Missio della Cei, in collaborazione con Caritas e Focsciv, lancia una Campagna di "microrealizzazioni giubilari" per garantire ai migranti il diritto di rimanere nella propria terra, come questione di "giustizia sociale". Don Michele Autuoro, direttore della Fondazione Missio, lancia un appello alle diocesi e ricorda che "in un mondo di muri eretti e di frontiere chiuse la questione profughi non è solo un'emergenza: è un segno dei tempi".

Accogliere i migranti significa anche garantire loro il diritto di rimanere nella propria terra, attraverso gesti concreti di solidarietà. Parte da questa consapevolezza la Campagna promossa da Fondazione Missio, Caritas e Focsiv per promuovere e garantire a ciascuno il diritto di restare nel proprio Paese vivendo in modo dignitoso. “Non è una campagna per dire ai migranti: rimanete lì”, puntualizza don Michele Autuoro, direttore della Fondazione Missio, ricordando che Giubileo vuol dire anche “restituzione” e lanciando un appello alle diocesi, in vista della Quaresima, a sostenere “microrealizzazioni giubilari” nei Paesi d’origine dei migranti. In un mondo “di muri eretti e di frontiere chiuse”, l’impegno della Chiesa italiana – sintetizzato nel Vademecum per l’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati e per la solidarietà con i paesi di provenienza dei migranti – può avere anche una valenza sociale e politica, perché “la questione profughi non è solo un’emergenza, ma un segno dei tempi”.

Come è nata l’idea della Campagna?

L’ispirazione di questa campagna promossa da Missio, Caritas e Focsiv è nata dalla volontà di rispondere alle indicazioni che la Cei ha dato con il Vademecum. Si tratta di un compito che rientra nell’accoglienza, perché il Papa nell’Angelus del settembre scorso, di fronte alla tragedia dei profughi che fuggono dalla morte, dalla fame, dalla guerra, dai disastri ambientali, ci ha esortato ad essere prossimi, a dare una speranza concreta a queste persone. L’invito di Francesco è stato raccolto dai vescovi come impegno per vivere concretamente il Giubileo della misericordia: anche perché il Giubileo, come si legge nel Levitico, trova il suo significato autentico nella restituzione dell’uguaglianza tra tutti i figli di Israele. Alle famiglie che hanno perso la terra, la casa, la patria, va restituito tutto: si tratta di una restituzione di dignità, ma anche di beni, perché tutti hanno bisogno di una pienezza di vita.

Il Giubileo, quindi come ripristino della giustizia sociale?

Certamente. Non dimentichiamo che tante persone lasciano forzatamente la propria terra, perché scappano dalla guerra, dalla fame, da condizioni di vita diventate disastrose, da catastrofi ambientali, o perché non hanno più dignità, non hanno più accesso ai loro diritti primari come la salute. Proprio nell’ottica del Giubileo della misericordia, non possiamo non avere a cuore anche chi rimane.

La nostra non è una campagna per dire: ‘rimanete lì, vi aiutiamo lì perché non veniate da noi’. E’ una campagna a favore del diritto a rimanere nella  propria terra, nella propria cultura, a non rompere con i tanti legami anche familiari.

Oggi siamo in presenza di un vero disastro umanitario: molti emigrano e magari non riescono a ricongiungersi con i propri cari, altri rimangono ma in situazioni di grande precarietà,  di molti infine si perdono le tracce. Nonostante le tante tragedie del mare, i profughi continuano ad attraversare il mare perché hanno paura che le frontiere si chiudano.

C’è chi rimane e chi parte: vogliamo guardare all’interezza della situazione, rilanciando come impegno per la Quaresima il farsi carico di coloro che bussano alla nostra porta, ma anche di chi sceglie di rimanere e per farlo ha bisogno del nostro sostegno.

Come fare, concretamente, per aderire alla Campagna?

La proposta alle parrocchie, alle Caritas diocesane, ai Centri missionari, ai gruppi, alle associazioni, ai movimenti è di farsi carico di sostenere un microprogetto, perché come diceva Madre Teresa ‘quello che facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia di meno’. I microprogetti sono tante piccole gocce d’amore per dissetare un’umanità che ha bisogno di giustizia.

Non si tratta di carità, ma di giustizia, di garantire diritti che a queste persone vengono negati. Non diamo loro il ‘di più’, ma quello che a loro spetta: la libertà di poter vivere in dignità nella propria terra

Le nostre diocesi sono da anni impegnate nella cooperazione: possono far riferimento al nostro sito per ricevere piccole linee-guida per presentare il progetto. Siamo partiti a dicembre, come segno giubilare, ma la Quaresima è tempo di fraternità, di condivisione. Vogliamo rinnovare l’appello a guardare con uno sguardo intero tutta l’umanità e anche il flusso migratorio: accogliere chi bussa, come un familiare e un amico, ma anche guardare ai tanti che restano e che hanno bisogno del nostro sostegno, come impegno di giustizia.

Il Papa mette spesso al centro dei suoi discorsi i migranti, lo ha fatto anche nel Messaggio per la Giornata della Pace: cosa può fare la Chiesa per farsi sentire di più sul versante sociale e politico?

Anzitutto potenziare l’impegno alla formazione attraverso la dottrina sociale della Chiesa. Segni concreti come questa Campagna servono anche a far nascere una profonda consapevolezza: davanti al flusso migratorio si aprono tante polemiche, non solo governative e politiche, ma anche tra la gente, spesso – dobbiamo riconoscerlo – anche nelle nostre comunità. Siamo chiamati a far nascere una coscienza nuova: è questo ciò a cui il Papa continuamente ci richiama. La questione profughi non è solo un’emergenza: è un segno dei tempi. Bisogna guardare a tutto questo non solo come problema da affrontare, ma anche con uno sguardo molto più ampio che è quello del cuore, della fede. Ci vuole un orizzonte nuovo che consideri il migrante anche come risorsa, che mostri che è possibile vederlo non solo come un fratello ma anche come un arricchimento della nostra esperienza, della nostra comunità, della nostra terra. In un mondo di muri eretti e di frontiere chiuse, l’impegno di sensibilizzazione e formazione può servire a costruire realmente la ‘civiltà dell’amore’, come la definiva Paolo VI.