La villa con terme di Pauciuri

Il sito, dal I sec. a.C. all’VIII d.C.,  è stato interessato da ben tre fasi di utilizzazione

Il sito di Pauciuri, sottoposto a decreto di vincolo nel 1983 e oggi divenuto parco archeologico, si trova in un’ampia pianura sulla sinistra del fiume Esaro, tributario del fiume Coscile, a sua volta affluente del Crati, a circa 170 m. s.l.m.

Gli scavi, promossi dalla Soprintendenza archeologica della Calabria, si sono susseguiti dal 1979 al 1985 con risultati illuminanti su un ampio arco di tempo, per poi riprendere negli anni novanta. È stato possibile ricostruire tre diverse fasi di utilizzazione del sito che ricade nel comune di Malvito.

La prima fase è relativa ad una fattoria-villa di età tardo repubblicana (I sec. a.C.) caratterizzata dalla presenza di horrea, che non destano alcuna meraviglia in un territorio a marcata vocazione agricola come la valle dell’Esaro. L’edificio, costruito in età repubblicana è stato rimaneggiato almeno una volta, come attesta la chiusura della porta tra i due vani del magazzino. A questa fase appartengono numerosi reperti databili tra il I sec. a.C. e il II sec. d.C. Inoltre, la presenza di numerosi aghi, spille e spilloni sia in bronzo che in osso, testimonia un’attività artigianale, relativa alla lavorazione del cuoio e della tela. A questa fase si attesta una notevole quantità di frammenti di ceramica campana, alla quale fa seguito una quantità non meno rilevante di aretina e italica, e molti recipienti di vetro (tutti in un’unica forma) insieme a numerose scorie di vetro. Inoltre dalla zona Nord del complesso, dallo strato di distruzione di un piano di calpestio, proviene una notevole quantità di monete, databili tutte nel IV sec. d.C.

Già alla fine del I sec. d.C. (90/100 d.C.), vi si sostituisce un complesso termale pubblico, probabilmente relativo ad una statio collegata, tramite un diverticolo, alla via ab Regio ad Capuam (la cosiddetta via Popilia). Sicuramente questo luogo di sosta costituiva un punto di collegamento fra Copia-Thurii e l’alto Tirreno, e metteva in comunicazione la piana di Sibari con Cosenza. A questo momento, successivo alla distruzione dell’edificio con il magazzino, è attribuibile una nuova costruzione, che, riutilizzando alcuni elementi della fase I, mantiene inalterato l’orientamento  del- le precedenti strutture. Infatti, vengono messe in opera una serie di vasche, un impianto di riscaldamento con ipocausto e una grande struttura in laterizi  a forma di croce.

Le strutture del secondo complesso si articolano intorno  ad un ambiente rettangolare attrezzato ad ipocausto: 78 pilastrini sostenevano un pavimento di tegole quadrate, con tracce di mosaico bianco-nero conservato in parte. Nel vano ad ipocausto, diverse tubature a se- zione sia quadrata che circolare portavano l’aria calda al piano superiore.

Sempre nell’ambito di questa fase “termale” è da segnalare la presenza di una latrina collettiva in buono stato di conservazione e del praefurnium, più antico delle terme stesse, unitamente ad un grande ninfeo, con vaschette e nicchie per le statue. Prima dell’abbandono ci fu un ampliamento delle terme, avvenuto tra IV e V sec. d.C., testimoniato dalla costruzione di due tepidaria. In seguito, con alcune prospezioni effettuate nel 1991, si è potuta determinare la pianta esatta del complesso porticato della statio: si tratta di un cortile rettangolare di m. 27 x 17, bordato da un portico. Si è, inoltre, rivelata la presenza di una strada con battuto di ciottoli e frammenti di tegole su una spessa massicciata lapidea. La strada è bordata sui due lati da strutture murarie con orientamento Est-Ovest. Questa seconda fase sembrerebbe terminare dopo il IV sec. d.C., forse in concomitanza della discesa dei Visigoti in Calabria e con la conseguente decadenza dell’impero romano. Ciò comportò l’andata in rovina del complesso dei vani di ristoro e degli annessi impianti termali. Inoltre, a questa fase, è riferibile un grande vano, usato come magazzino o cantina, suddiviso da un muro intonacato su entrambe le facce, in cui sono stati rinvenuti cinque dolia, interrati in fosse scavate nel terreno vergine. Di particolare interesse è, ancora, il rinvenimento di alcuni strumenti chirurgici in bronzo composti da un frammento di bisturi con tracce di decora- zione ageminata in argento e un paio di pinzette.

In conclusione, la presenza di terme non pertinenti ad ambienti residenziali in un territorio che, in età imperiale era attraversato da una strada, collegante le valli dell’Esaro e del Crati, rafforza l’ipotesi che il complesso di Pauciuri possa essere stato una stazione di posta, fino a quando, tra fine III e inizi IV sec. d.C. si sono costruiti i muri che delimitano ben sei ambienti, tutti a carattere rustico,  e forse in alcuni casi a carattere produttivo, che sulla base di alcuni confronti in Puglia, Sicilia e la stessa Calabria, ci fanno ipotizzare la presenza di un villaggio (vicus) tardoantico, nel corso del IV secolo, rimasto in vita, forse, fino al VI, epoca in cui gli ambienti vengono abbandonati, per ospitare la necropoli di cui parleremo ora.

Nella terza, ed ultima fase, di età altomedievale, compresa tra i secoli V e VII d.C., viene effettuato un ulteriore rimaneggia- mento del complesso, mediante strutture molto rozze che sono state in parte distrutte dall’impianto, tra le rovine dell’ultimo edificio, di una fitta necropoli adattata a tale scopo da un gruppo di contadini cristianizzati che deponevano i loro defunti con il cranio rivolto ad Ovest. Le tombe che  seguono  l’asse Est-Sud-Est / Ovest-Nord- Ovest dell’edificio stesso, sono costituite da semplici fosse scavate dentro gli ambienti prece- denti. Di questa necropoli sono note finora 102 tombe, per una densità di sepoltura ogni 5 mq., il cui corredo poverissimo o talvolta del tutto assente, ha però restituito una croce-reliquiario in bronzo con decorazione incisa (VII sec. d.C.), di lavorazione bizantina che induca a postulare, nei pressi del sito, la presenza di un insediamento bizantino. Sul dritto è rappresentato un personaggio maschile, barbuto con il capo avvolto da un’aureola, in posizione di adorazione e vestito con abiti liturgici; al di sopra del capo, è inciso in greco il nome del ve- scovo rappresentato: Johannes. Sul retro, dove è raffigurata una croce di Malta, è incastonato, in una cavità di forma circolare, un vetro. Oltre alla croce si deve segnalare un anellino in bronzo con chrismòn. Un’altra tomba, la n. 98, scoperta nel frigidarium, costituisce un unicum tipologico tra quelle  finora  rinvenute in quanto risulta foderata con lastroni tagliati irregolarmente, legati con malta. La tomba, insieme ai resti scomposti di alcuni individui, conteneva una brocchetta integra in ceramica a bande ondulate, databile tra VII e VIII secolo d.C.

L’importanza del sito consiste, oltre che nella sovrapposizione e quindi documentazione di varie epoche, nel fatto che si tratta dell’unica necropoli bizantina ritrovata in Calabria.