Cultura
Rinvenute alla luce due iscrizioni della Cattedrale barocca
Una lapide in ricordo del patrocinio della Madonna del Pilerio nel terremoto del 1783
I restauri che, tra la fine dell’Ottocento e i primissimi anni ’40 del Novecento, eliminarono le superfetazioni barocche che rivestivano il duomo di Cosenza, restituirono alla luce molte porzioni della cattedrale medievale ma portarono alla dispersione di numerose altre opere. Fino al momento del rifacimento delle navate laterale, queste erano ornate non solo da altari laterali lungo le pareti, ma anche da vari stemmi e da iscrizioni che ricordavano i restauri avvenuti nei secoli, i patronati delle famiglie nobili cittadine sulle varie cappelle e gli uomini illustri che erano stati sepolti nella chiesa. Molte iscrizioni andarono distrutte quando l’intonaco e gli stucchi barocchi vennero eliminati dalla muratura, ma alcune di esse sono giunte a noi, anche se spesso in stato frammentario. Un gruppo di frammenti finì, dopo varie peripezie e dispersioni, presso la sede cosentina della Soprintendenza ABAP, menzionati in passato da pochi autori e ora in buona parte inseriti nell’istituendo lapidario, come evidenzia il volume curato da Mario Panarello e Murat Cura “Colligite fragmenta. Il lapidario di Cosenza fra storia, arte e restauro”. Un’altra porzione di iscrizioni e frammenti rimase in cattedrale, quasi mai nella collocazione d’origine ma riposizionati in altro luogo, come gli stemmi che abbelliscono il vano antistante la sagrestia o l’iscrizione del 1779 legata al culto della Madonna del Pilerio posta nella cappella a lei intitolata. Della presenza di molte altre iscrizioni, invece, ci resta solo la testimonianza scritta degli storici locali che si sono occupati della cattedrale o delle famiglie illustri della città. Capita, però, che ogni tanto riemerga qualche sorpresa. Di recente, riordinando del materiale ammassato nell’antico “cimiterio” del duomo, sono venuti alla luce alcuni pezzi di antiche lapidi che il rettore don Luca Perri ha provveduto a preservare. Avendo avuto modo di osservare i frammenti marmorei, e studiando le porzioni di testo, è stato possibile ricondurre gli otto pezzi rinvenuti a due distinte iscrizioni, entrambe risalenti al XVIII secolo e un tempo collocate all’interno del duomo. I primi tre frammenti sono parte di una iscrizione del 1738. A parere di chi scrive il testo ricomposto è sufficiente a ricondurli alla lapide che ricorda la morte di Diego Fraggianni, appartenente ad una nobile famiglia di Barletta e che si trovata a Cosenza a svolgere le funzioni di avvocato fiscale della Regia Udienza. L’iscrizione, nella quale si usa il nome latinizzato in Didaco, esalta gli studi svolti dal personaggio e gli incarichi svolti in Puglia, a Lucera e Trani, e in Calabria, a Catanzaro e Cosenza. A porla furono i fratelli del defunto, Saverio, Agnello, che era vescovo di Venafro, e Nicola Fraggianni, che ricopriva incarichi di primo piano a Napoli. Lo stesso Diego Fraggianni è ricordato in alcune iscrizioni settecentesche presenti nella sua città d’origine, Barletta, nella chiesa di S. Andrea, dove era posta la cappella della sua famiglia. La lapide di Fraggianni, sormontata dallo stemma della sua famiglia quasi a comporre un piccolo monumento funebre, era posta nella navata centrale sulla parete a sinistra della porta principale. Come evidenziano i frammenti rimasti, si trattava di un’opera pienamente barocca, con il marmo lavorato a forma di cartiglio e il testo ondulato come a seguire la forma del drappo. Vista la forma elaborata non è da escludere una esecuzione ad opera di maestranze napoletane. Da quanto attestato dallo storico Minicucci l’iscrizione era stata già rimossa nei primi anni ’30 e depositata nella cappella dei Nobili. Doveva essere ancora integra e completa del suo stemma, ma in seguito andò danneggiata e i frammenti dispersi. Lo stemma Fraggianni però è da individuare in uno di quelli conservati in sagrestia, in particolare in quello che la storiografia locale ha indicato, finora, come stemma della famiglia Caputo o Caputi. Anche se monco in alcune parti, presenta uno scudo alla testa di Giano bifronte (erudito riferimento al cognome?) nascente dalla fascia abbassata, accollato all’aquila bicipite e sormontato da una corona. Probabilmente lo stemma venne giudicato degno di interesse, a differenza del resto dell’iscrizione, e esposto sulla parete della sagrestia. Gli altri cinque frammenti, di cui uno di maggiori dimensioni, sono invece riconducibili alla iscrizione che ricorda il patrocinio della Madonna del Pilerio sulla città di Cosenza in occasione del terremoto del 1783. Il testo, che è possibile leggere per intero dai frammenti ritrovati, recita: “BEATAE VIRGINI DE PILERIO/ QUOD ANTIQUA NOVIS BENEFICIIS CUMULAVERIT/ AC MAGNIS TERRAE CONCUSSIONIBUS/ NONIS AC VII IDUS FEBRUARI/ AC PRAESERTIM V KALEN APRILIS/ ANNO CDDCCLXXXIII/ EVERSA AC PENE SOLO AEQUATA ULTERIORI CALABRIA/ URBEM HANC FATISCENTEM/ FIRMAVERIT/ CONSENTINUS [EQUES] THOMAS [BOMBINI]/ NE NUMERI PIETATI AC GRATITUDINE DEESSET/ AERE SUO/ P.P.”. Le parole “eques” e “Bombini” sono state volutamente abrase dall’iscrizione, ma è possibile integrarle grazie alla trascrizione che ne fece lo storico Borretti negli anni ’30, lo stesso che ci testimonia che lo stemma presente sull’iscrizione era proprio quello della famiglia Bombini, che ne aveva dunque commissionato la realizzazione. Lo stemma era inserito all’interno della stessa lapide, posto in cima al testo e realizzato in commessi marmorei, ormai staccati ma che lasciano vedere uno scudo inserito all’interno di una coltre sormontata da una corona. La lapide era posta, insieme a quella fatta apporre dal Capitolo cosentino nel 1779, all’ingresso della cappella del Pilerio; una sulla parete a sinistra e una su quella a destra dell’ingresso. Entrambe erano ancora al loro posto negli anni ’30 ma furono probabilmente levate in quegli stessi anni durante i lavori che eliminarono le ultime presenze barocche dalla navata laterale sinistra. Mentre la lapide del 1779 però tornò nella cappella e tuttora vi si conserva, la lapide del 1783 invece andò dispersa. Il testo dell’iscrizione ci era stato tramandato da vari scritti, anche in relazione al suo legame con il culto per la Vergine del Pilerio, e questo non fa che rendere ancora più inspiegabile come un’opera così citata nelle memorie locali possa essere quasi andata persa. Sia l’iscrizione di Fraggianni del 1738, sia l’iscrizione del Pilerio del 1783, dopo tolte dalla loro collocazione originaria vennero probabilmente spostate tra la cappella dei Nobili e il giardino antistante insieme a molti altri pezzi erratici, come la stessa lapide del Capitolo del 1779, l’urna delle reliquie delle sante Urbicina e Secondina, i pezzi del baldacchino realizzato a fine ‘Ottocento per il presbiterio della stessa cattedrale stessa e vari altri frammenti. Alcuni, probabilmente perché meglio conservati, vennero col tempo recuperati, riutilizzati o comunque meglio sistemati all’interno dello stesso edificio di culto. Altri, come quelli qui presentati, non ebbero una sorte felice, ma la loro riscoperta permette comunque di ricostruire, almeno idealmente, degli angoli ormai perduti della cattedrale.