106 anni fa il genocidio degli armeni

I turchi nazionalisti miravano a cancellare l’intera comunità e a rapinare le loro terre

Il 24 Aprile ricorreva il 106° anniversario del massacro di massa degli armeni, barbaramente uccisi dai turchi ottomani negli anni della prima guerra mondiale. Questa strage è sempre stata fonte di imbarazzo e vergogna da parte della Turchia, sostenitrice di una posizione negazionista nei confronti di un fatto storico che provoca solo ribrezzo e rabbia, disgusto e condanna. Lo sterminio armeno ha luogo nel secondo decennio del XX secolo, in quegli anni schizofrenici in cui scoppia la Grande Guerra e si avvicendano numerose rivoluzioni nazionaliste, giustificate dalla volontà di avviare un processo di modernizzazione del tessuto sociale e di coinvolgimento diretto delle masse popolari nelle istituzioni politiche di vari paesi. Ciò che contraddistingue queste rivoluzioni è la loro portata nazionalista, che risveglia un forte senso di appartenenza e di patriottismo da parte delle masse. Alla causa nazionalista si accompagna il tentativo di avviare riforme democratiche e di pianificare l’economia in senso socialista. L’eco della rivoluzione risuona anche nei paesi musulmani, tra cui la Turchia. L’impero ottomano ha una forte tradizione sunnita e ortodossa, che tende a far coincidere potere temporale e potere spirituale, politica e religione. Il sultano riveste anche il ruolo di califfo, cioè successore del Profeta Maometto, nonché capo religioso supremo dell’Islam sunnita. I veri portatori dell’idea di modernizzazione nel mondo turco sono sia gli ufficiali dell’esercito che i funzionari statali. Il rafforzamento degli apparati statali e militari turchi diventa necessario e urgente sin dalla seconda metà dell’Ottocento, allo scopo di opporre una strenua resistenza ai possibili attacchi dei nazionalismi balcanici e delle potenze europee. Nell’impero ottomano, da sempre privo di libertà costituzionali, si affermano i “millet”, veri e propri corpi intermedi rappresentativi delle diverse comunità religiose in grado di assicurare forme di autogoverno. In seguito alla sconfitta ricevuta dalla Russia negli anni Settanta dell’Ottocento, il sultano turco concede la costituzione, sulla scia delle dure pressioni internazionali, ma la sospende dopo qualche mese ripristinando il potere assoluto. Nasce allora il movimento nazionalista dei <<Giovani Turchi>> che si batte a favore dei diritti costituzionali e vuole risollevare le sorti della Turchia. La crisi del governo di Istanbul è inevitabile e nel 1908 scoppia la rivolta, che costringe il sultano a ripristinare la costituzione del 1876. Da quel momento in poi il potere passa in mano ai militari e il sultano viene esautorato. La rivoluzione turca assume quindi una tinta laica, mentre la controrivoluzione osteggiata dal sultano è chiaramente religiosa. Il potere politico turco mobilita le masse popolari a favore dell’ortodossia religiosa, facendone scaturire una crisi generale di tutto il regime. In questo clima acceso è necessario andare alla ricerca di un capro espiatorio a cui addossare tutte le colpe, al fine di difendere i propri valori nazionali e religiosi. Questo capro espiatorio è il popolo armeno. Negli anni Ottanta, mentre gli ebrei iniziano ad essere crudelmente perseguitati e uccisi in Russia, in Turchia gli armeni subiscono una serie di massacri, prima nel 1894 e poi nel 1896 per mano del sultano Abdul Hamid II. La piccola comunità armena è composta da mercanti e professionisti stanziati nell’area anatolica fin dal 7° secolo a.C. Vengono accusati di essere agenti del vicino nemico russo e di guardare con interesse al mondo occidentale. Sono di fede cristiana, vivono in comunità coese e sparse in tutto l’impero ottomano e la loro terra d’origine, l’Armenia, a sud del Caucaso, si trova al confine tra Turchia e Russia. Negli anni del primo conflitto mondiale, il movimento nazionalista dei Giovani Turchi, al potere sin dal 1908, si macchia di un terribile genocidio nei confronti degli stessi armeni, che vengono deportati e sterminati tra il 1915 e il 1923. Tra gli esecutori materiali di questa tragedia umanitaria si annoverano i nomi di Talaat, Enver, Djemal. I turchi nazionalisti mirano a cancellare l’intera comunità degli armeni, rapinando i loro beni e le loro terre. Oltre un terzo degli armeni residenti nell’impero Ottomano (circa 1.500.000 persone) perde orribilmente la vita. Il 24 Aprile 1915 i notabili armeni di Costantinopoli vengono arrestati, deportati e massacrati. Molti bambini sono costretti a islamizzarsi, le donne vengono inviate negli harem, i maschi vengono costretti ad arruolarsi nell’esercito e a prendere le armi. Seguono le violenze sulla popolazione civile, la marcia verso il deserto di Der-Es-Zor, dove non vi è nessuna possibilità di sopravvivenza, le depredazioni, la reclusione nelle caverne, l’annegamento e la morte nel fiume Eufrate e nel Mar Nero. Le forze militari portano al potere la figura di Mustafa Kemal (Atatürk), modernizzatore laico e promotore di una rivoluzione anti-islamica, che completa e avalla l’opera dei Giovani Turchi con altri massacri. Tra gli storici turchi ci sono sempre stati molti negazionisti, ma la testimonianza di alcuni “Giusti” ha portato alla luce una scomoda verità. Tra questi, il tedesco Armin Theophil Wegner, che ha divulgato materiale clandestino sotto forma di foto, diari e appunti, e l’italiano Giacomo Gorrini, Lo scorso 24 Aprile il presidente americano Biden ha ufficialmente riconosciuto il genocidio degli armeni, con una dichiarazione preparata in occasione del 106° anniversario dall’inizio di questo massacro nel 1915. È il primo presidente statunitense ad aver riconosciuto un evento storico di così enorme portata e gravità, sottolineando il suo impegno a favore della lotta per i diritti umani, pur consapevole delle forti tensioni che ne deriveranno tra Ankara e Washington. Gli Stati Uniti hanno accolto negli anni circa due milioni di armeni-americani, discendenti dei sopravvissuti allo sterminio. Dal canto suo il presidente turco Erdogan continua a ritenere questo fatto storico alla stregua di una serie di menzogne e calunnie sulla base di calcoli politici, sventolando la bandiera del negazionismo per mettere a tacere, forse, la verità. La Turchia, alleata della Nato e forte della sua “pressione autocratica”, con cui ha costretto il gigante americano al silenzio per troppo tempo, ha minacciato di chiudere la base militare di Incirlik, dove sono ospitate testate nucleare americane. Ad oggi sono una trentina i paesi in tutto il mondo che hanno riconosciuto questa barbarie, scatenando ritorsione da parte di Ankara. In ricordo delle vittime di questo terribile genocidio, il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, ha sostenuto, durante l’omelia in occasione della celebrazione liturgica presieduta dall’arcivescovo Raphael Minassian presso il Pontificio Collegio Armeno, che “Il dramma di 106 anni fa è stata una macchia nella storia dell’intera umanità, ma tutti gli armeni, vittime di una “sofferenza sistematicamente pianificata”, non hanno smarrito il tesoro della fede”. Erano presenti alla celebrazione gli Ambasciatori dell’Armenia presso la Santa Sede e monsignor Nunzio Galantino, presidente dell’Apsa. Il cardinale si è soffermato sull’immane dolore vissuto dagli armeni, ma anche sulla loro capacità di risollevarsi e di andare avanti. Il porporato ha riflettuto sul male presente nella storia umana, che deve indurci a fare i conti con le nostre tentazioni, quando ci allontaniamo dalla Parola del Vangelo.