Cultura
I primi vent’anni del Nucleo TPC sul Territorio
Intervista al capitano dei Carabinieri bruzi dell'Arte, Bartolo Taglietti, sulle operazioni condotte e ora esposte in mostra
“Ho un legame molto intenso con la fede e sono felice e orgoglioso della mia forte relazione con la preghiera. Sono molti i sacrifici che viviamo e che vivono le nostre famiglie, in primis, a causa della lontananza e dei continui spostamenti. Ma credo profondamente nel mio lavoro per l’Arma dei Carabinieri e nel servizio svolto per il bene della gente; e la fede, senza alcun dubbio, mi ha da sempre aiutato a sostenermi nelle difficoltà. Proprio ieri mi è arrivata, qualcuno l’ha richiesta per me senza che io lo sapessi, la Benedizione Apostolica di papa Francesco: è stato per me un segno molto forte in questo momento storico”.
Ci colpisce la semplicità con cui il comandante del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri di Cosenza, Bartolo Taglietti, ci accoglie nella sede di Palazzo Arnone, per raccontarci l’attività di investigazione e di recuperi portati a termine negli ultimi vent’anni dai Carabinieri del Nucleo TPC bruzio, confluiti nella splendida mostra “Salvati dall’oblio”, da poco inaugurata al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria (MArRC). Il tutto senza trascurare una visione del mondo profondamente umana. L’inaugurazione della mostra, ricordiamolo, è stata impreziosita dalla presenza del generale di Brigata, Roberto Riccardi, comandante del Comando Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri.
Che cosa ha provato nell’organizzare la mostra “Salvati dall’oblio” frutto anche del lavoro di tanti colleghi che l’hanno preceduto?
Ho provato una grande emozione al MArRC, perché dentro di me sapevo bene il lavoro intenso di recupero e le difficoltà superate e l’ho percepita ancora di più nel momento in cui mi sono trovato difronte ai beni esposti, sin dalle teche allestite in Piazza Paolo Orsi. Nella mostra sono stati selezionati e convogliati i recuperi del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri di Cosenza, che proprio vent’anni addietro è stato istituito e, quindi, l’esposizione è caduta proprio in occasione dalla costituzione del Nucleo bruzio. Il titolo della mostra, che ho condiviso pienamente, è stato dato dal direttore del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, Carmelo Malacrino. La presenza del nostro comandante, il generale Roberto Riccardi, ha reso l’inaugurazione ancora più significativa grazie alla sua personalità straordinaria e alle altrettanto straordinarie parole pronunciate in un’occasione così importante per i TPC in Calabria.
Quali difficoltà presenta l’investigazione nel recupero di beni storico e archeologici?
L’attività di investigazione nel recupero di beni trafugati illecitamente è difficoltosa, costituita dagli innumerevoli sacrifici fatti, nel corso del tempo, dal team investigativo soprattutto in un territorio delicato come la Calabria. Come in ogni attività di investigazione la difficoltà è quella di permeare nel fitto tessuto delinquenziale, cercare di “bucarlo” e, quindi, entrare all’interno come una sorta di “cavallo di Troia”, per poi acquisire una volta dentro tutte le informazioni che possono servire per il recupero.
Quali sono gli strumenti investigativi peculiari dei in uso dai Detective TPC?
Utilizziamo i normali strumenti investigativi che caratterizzano l’indagine in generale: le intercettazioni telefoniche, le intercettazioni ambientali, l’uso dei droni, i pedinamenti, i servizi di osservazione, i controlli che sono fatti su determinati soggetti in specifici momenti. Solo che le nostre indagini sono finalizzate a un fine specifico, ossia il recupero dei beni culturali e la loro protezione. Recuperando il patrimonio culturale, salvaguardiamo la nostra identità storica non perdendo mai di vista il fine ultimo: essere al servizio del cittadino, rimanendo vicini al cuore della gente e di un territorio.
Lei ha svolto da sempre servizio nei TPC?
No, io sono alla guida di questo specifico comando dell’Arma da due anni. Durante questo tempo, ho avuto modo di apprezzare e di legarmi a questo tipo di attività altamente specialistica, svolgendo il mio incarico con grande passione ed entusiasmo. Mi sono reso conto, sperimentandolo giorno dopo giorno, della rilevante importanza dell’attività dei TPC per il nostro Paese.
Come si è trovato a Cosenza? Si è sentito accolto dalla nostra comunità?
Mi sono trovato benissimo: è una città molto accogliente fatta di tantissime brave persone, dotate di una grande sensibilità e attente alla tutela del patrimonio culturale, legate al proprio territorio. In generale, devo dire, che un po’ tutta in tutta la Calabria ho avuto modo di sperimentare il grande “cuore dei calabresi”. Ottimi i rapporti anche con le realtà diocesane e parrocchiali: un legame privilegiato che, spesso, anche in altri servizi svolti per l’Arma qui in Calabria, è stato fondamentale non solo per il recupero dei beni culturali, ma anche per la tutela di un bene preziosissimo che non può essere “perso nell’oblio”, cioè i nostri giovani che vivono in aree ad alto rischio. Ecco perché ancora oggi amo andare nelle Scuole per fare sentire con tutta la mia forza, la vicinanza di noi Carabinieri a chi si trova in condizione di difficoltà.
Com’è per i militari della Benemerita collaborare con tanti specialisti che si occupano quotidianamente del nostro patrimonio culturale?
Noi abbiamo la necessità di collaborare con specialisti come archeologici, storici dell’arte, dipendenti MIC e delle Università: noi Carabinieri curiamo l’aspetto squisitamente investigativo, ma l’aspetto tecnico connesso al patrimonio culturale a supporto delle nostre indagini ci viene dato con grande professionalità proprio da tecnici e studiosi.
E, ogni volta, devo dire che il loro contributo si rivela impeccabile e di grande spessore, una grande occasione di arricchimento, anche dal punto di vista delle relazioni professionali e umane che si vengono instaurare.