Attualità
Tanta sete di storie buone
Senza ergersi come nani sulle spalle dei giganti, ma rischiando in proprio.
“Siamo nani sulle spalle dei giganti” e per questo vediamo più lontano, non per l’acutezza della nostra vista, ma grazie a chi ci ha preceduto. Il famoso adagio medievale attribuito a Bernardo di Chartres mi torna alla mente spesso, per devozione nei confronti dell’istruttività della storia e della bontà della tradizione. Devozione innata, forse, ma certo alimentata anche dagli anni alla Cattolica di Milano, quando a ricordare agli studenti questa massima era il professor Pietro Zerbi, cultore appassionato delle radici medievali d’Europa.Mi chiedo se tale suggestivo motto valga anche in questi tempi così drammaticamente convulsi, in cui grandi e piccoli faticano a trovare punti di riferimento.Se alzo lo sguardo a una dimensione planetaria, constato con sgomento che il mondo continua a vivere in guerra, anzi, bisognerebbe dire in molte guerre apparentemente non connesse fra loro. Il mondo dice di desiderare la pace, ma tollera numerosissime situazioni di conflitti sanguinosi. Siamo più lungimiranti dei nostri antenati? Abbiamo imparato la lezione della storia, o forse viviamo solo al riparo di una comunicazione globale che ottunde mentre illude di informare? Come sono sollecitate le nostre coscienze rispetto a quelle dei nostri avi che la guerra l’hanno vissuta sulla propria pelle? Oggi la percezione dei singoli abitanti del pianeta è del tutto diversa da chi ha vissuto, appunto, la Seconda guerra mondiale, ma è una percezione che non può dirsi a priori migliore. Mi chiedo se stiamo educando i nostri figli ad essere più avveduti di noi, a non fare gli stessi sbagli, ad avere repulsione per ogni forma di ingiustizia e conflitto.Se scendo nella “agorà” nostrana, quello dei titoli dei giornali di queste settimane non è un panorama che possa confortarci rispetto alla validità dell’antico detto. Siamo davvero nani sulle spalle dei giganti? Siamo in grado di dedurre cosa ci consiglierebbero maestri di laicità e testimoni di fede come Lazzati, Dossetti, La Pira, Bachelet o Moro? Che ne è delle loro lezioni, delle appassionate imprese che li hanno visti impegnati in quella forma alta di carità che è la politica? Senza il contributo determinante del pensiero cattolico non avremmo la nostra ineguagliata Costituzione, ma oggi? Paolo VI diceva che abbiamo bisogno di testimoni più che di maestri, ma sembra che stentiamo a trovare sia gli uni sia gli altri.In un’era in cui nulla può più essere dato per assunto, né condiviso – i concetti di bene e male, di amore, di libertà e responsabilità, l’idea stessa di cosa sia la natura – a quali persone e a quali strumenti possiamo affidarci per essere più equipaggiati nella foresta del domani?Ricordo di aver ammirato un’iniziativa culturale come quella proposta anni fa da Luigi Accattoli: l’autorevole vaticanista “cercava fatti di Vangelo”, per raccontare storie vere che rendessero persuaso il lettore che un mondo diverso è possibile, o meglio è possibile assaporare la bellezza del centuplo quaggiù, di un presente che sa di eterno perché vissuto nella logica delle beatitudini “promesse” da Gesù. Su un versante assolutamente non confessionale, ma a mio giudizio in una sorta di “convergenza parallela”, più recentemente ho apprezzato anche l’attività saggistica di Mario Calabresi che, dopo aver esordito con la sua drammatica esperienza biografica, si è dedicato a raccontare “Storie di uomini e donne che hanno avuto il coraggio di rialzarsi” (2009) e “Storie di italiani che non hanno mani smesso di credere nel futuro” (2011).Sono titoli che i lettori senz’altro avranno già incontrato, ma l’impressione è che abbiamo ancora tanta sete di storie buone, avvenute e da compiersi. Quaresima è tempo di penitenza e silenzio, ma può essere anche tempo di ricerca di germi di bene. Abbiamo bisogno di indagare il nostro passato per affrontare il nostro futuro. Solo così potremo guardare più lontano, imparare dai nostri errori e permettere ai nostri figli di essere migliori.