Despiciendo suspicio. Filosofia e teologia in Galileo Galilei

La Natura è il sostrato nel quale individuare le tracce visibili di Dio, essendo ancora la Natura una delle sue due manifestazioni

Il noto suggerimento di non giudicare mai un libro dalla copertina evidentemente non vale proprio per tutti i casi. Sicuramente non vale per il Saggiatore (1623) di Galileo Galilei, il cui frontespizio (in foto) veicola in modo potentissimo le idee cardine del pensiero filosofico dello scienziato pisano. Le due figure femminili ai lati, poste sui rispettivi basamenti, sono l’espressione simbolica di due discipline. Tale impostazione iconografica non è certamente nuova, ma ad essere innovativa è la scelta operata riguardo le discipline. Nessuna delle due, infatti, è la teologia (fatto abbastanza insolito al tempo di Galilei), ma come chiaramente si legge sui basamenti, esse sono le rappresentazioni simboliche della Filosofia naturale e della Matematica. Qualcuno potrebbe frettolosamente far riferimento al mito scientista che vede in Galilei colui che finalmente è riuscito a sganciarsi dalla concezione medievale della teologia intesa come regina scientiarum. Ad uno sguardo più attento, però, le cose stanno diversamente. Certo, per capire davvero vada interpretato il Frontespizio si dovrebbe si dovrebbe studiare attentamente un fondamentale testo del 1615, La lettera a Madama Cristina di Lorena (Galileo Galilei, Opere, ed. Nazionale a cura di A. Favaro, Giunti-Barbera, Firenze 1966, vol. V), nel quale il mito galileiano di matrice scientista lascia invece il posto ad un modo di intendere la scienza, e i suoi rapporti con la teologia, davvero inaspettato. Galilei, contrariamente a quanto si possa pensare, è sì uno scienziato (un filosofo naturale, sarebbe più corretto dire storicamente) ma proprio in quanto scienziato crede fermamente di non poter mai, nell’espletamento delle sue attività di ricerca, pervenire a conclusioni in reale contrasto con quanto la teologia cristiana sostiene. Partiamo da un passo tratto proprio dal Saggiatore:

«La filosofia [della natura] è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto dinanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscere i caratteri ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi [sic] è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto» (Il Saggiatore in Opere, vol. VI, p. 232).

La metafora del libro per intendere la natura non è soltanto una metafora accattivante e suggestiva. Si tratta, invece, di una metafora che però possiede, ecco il punto, un reale spessore ontologico. Ciò vuol dire, in altri termini, che la Natura non è soltanto una metaforica rappresentazione di qualcosa, ma è realmente il sostrato nel quale individuare le tracce visibili di Dio, essendo ancora la Natura una delle sue due manifestazioni (l’altra è la Scrittura). La Natura, dunque, è davvero un libro, come si legge in quest’altro passo suggestivo tratto da una lettera a Fortunio Liceti del 1641:

«Ma io veramente stimo il libro della filosofia, esser quello che perpetuamente ci sta aperto dinanzi agli occhi; ma perché è scritto in caratteri diversi da quelli del nostro alfabeto, non può esser da tutti letto: e sono i caratteri di tal libro triangoli, quadrati, cerchi, sfere, coni, piramidi et altre figure matematiche, attissime per tal lettura» (Opere, XVIII, p. 295).

Il fatto che Dio sia considerato come l’unico e medesimo Autore dei due Libri rende impossibile, per Galilei, la possibilità di una reale divergenza delle rispettive discipline che se ne occupano: la teologia da un lato e la scienza (nella molteplicità delle sue forme) dall’altro. Questo è il fondamento stesso della visione galileiana che ha una natura conciliante e una finalità assolutamente in linea con il più puro spirito cristiano. La divergenza tra teologia e scienza non è, pertanto, sostanziale bensì epistemologica e metodologica. Il libro della Natura, in altri termini, ha una struttura tale che non consente interpretazioni ma si dispone soltanto ad essere conosciuto matematicamente. Per Galilei la conoscenza di questo tipo, sebbene sia ben misera cosa rispetto alle infinite leggi del cosmo (che a ben vedere una singola persona non può mai arrivare a conoscere totalmente), intensivamente – cioè qualitativamente – non si distingue in nulla rispetto alla conoscenza che Dio stesso ha di quella legge naturale. Questo è vero perché la conoscenza della struttura matematica non ha “un oltre” al quale aspirare, ma è essa stessa l’orizzonte finale conoscibile dall’uomo. La conoscenza matematica, detto altrimenti, ci riporta immediatamente e definitivamente alla più intima struttura del cosmo. In tale struttura Galilei legge – letteralmente – la testimonianza dell’azione di Dio. La scienza (Filosofia Naturale) non ha, pertanto, uno statuto o uno scopo differente, almeno nella sostanza, rispetto a quello della teologia. È per questo motivo, infatti, che la figura a sinistra sul Frontespizio del Saggiatore possiede la corona di raggi. Si tratta, infatti, di una simbolica santificazione della ricerca scientifica che, per i suddetti motivi, persegue lo stesso scopo della teologia, con la quale non può mai entrare in reale contrasto. Il libro che la figura regge con la mano destra e la sfera celeste, che regge invece con la mano sinistra, simboleggiano proprio l’attività di studio scientifico del mondo che equivale, nella fortunata “metafora” galileiana, alla lettura del Verbo di Dio. La matematica, sulla destra, è invece strumento della filosofia naturale, il mezzo attraverso cui è possibile intercettare le vestigia di Dio nell’ordine che struttura il cosmo. E che la matematica, guardando verso il basso, intravede allo stesso tempo – e sorprendentemente – l’altezza di Dio è una tesi che lo stesso Galilei esprimerà in questi termini:

«Chi mira più alto, si differenzia più altamente; e ‘l volgersi al gran libro della natura, che è ‘l proprio oggetto della filosofia, è il modo per alzar gli occhi: nel qual libro, benché tutto quel che si legge, come fattura d’Artefice onnipotente, sia perciò proporzionatissimo, quello nientedimeno è più spedito e più degno, ove maggiore al nostro vedere, apparisce l’opera e l’artifizio. Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Dedica al Gran Duca, Opere, VII, p. 27.

Si badi, inoltre all’indice della mano della figura femminile che simboleggia la matematica. Esso punta inconfondibilmente verso l’altro. Si tratta di un gesto che corrisponde a quello della mano destra della figura simboleggiante la filosofia naturale che, tenendo il libro (della natura), sembra invece puntare in basso. La doppia direzione dei due gesti deve unirsi, in una sintesi teologico-filosofica, in un’unica visione secondo cui lo studio del cosmo – e quindi della sua struttura matematica – non è diverso dallo studio del Verbo che realizza la teologia, essendo sempre Dio il riferimento ultimo delle due attività di ricerca. Difatti, puntando in basso, verso il libro della natura, è in fondo all’Autore che ci si rivolge (cfr. A. Damanti, Libertas philosophandi. Teologia e filosofia nella lettera alla Granduchessa Cristina di Lorena di Galileo Galilei, Edizioni di Storia e Letteratura, 2010, pp. 321-325). Si tratta di un messaggio iconografico potentissimo che sintetizza perfettamente la complessa posizione galileiana su di un tema, quello del rapporto tra teologia (fede) e scienza (ragione) che ancora oggi continua a porre gravi e complicati interrogativi.