Cultura
Albero di Natale vero o finto? Quest’anno si può ‘noleggiare’
L'8 dicembre si fa l'albero di Natale in nove case su dieci.
L’albero di Natale resta una tradizione fortemente radicata tra gli italiani che lo accendono in quasi nove famiglie su dieci (85%), anche se però ci si divide, tra vero o finto, tra piccolo e grande, tra addobbo tradizionale od innovativo. E’ quanto emerge da una indagine Coldiretti/Ixe’ in occasione dell’Immacolata durante il quale nelle case si inizia ad addobbare l’abete per le feste. L’albero naturale verrà scelto quest’anno da quasi 3 milioni di famiglie anche se – sottolinea Coldiretti – la maggioranza del 63% degli italiani ricicla l’albero di plastica recuperato dalla cantina mentre una minoranza lo compra nuovo di plastica.
La spesa media degli italiani per l’albero vero è quest’anno di 40 euro anche se secondo Coldiretti/Ixe’ quasi un italiano su due (47%) contiene il budget sotto i 30 euro, un altro 28% si orienta tra i 30 e i 50 euro, ma c’è anche un 19% che spenderà fino a 100 euro, e chi andrà addirittura oltre. I prezzi variano a seconda dell’altezza e delle varietà con gli abeti più piccoli che – precisa la Coldiretti – non superano il metro e mezzo venduti tra i 10 e i 60 euro a seconda della misura, della presenza delle radici ed eventualmente del vaso, mentre per le piante di taglia oltre i due metri il prezzo sale anche a 200 euro per varietà particolari. La vendita – continua la Coldiretti – avviene nei vivai, nella grande distribuzione, presso i fiorai, nei garden, ma ottime occasioni si trovano anche in molti mercati degli agricoltori di Campagna Amica.
Da segnalare quest’anno l’arrivo della possibilità di noleggiare alberi veri promossa da Coldiretti e Campagna Amica in Toscana in provincia di Pistoia. L’obiettivo è quello di andare incontro alle difficoltà di gestione di un abete vero per molte famiglie che hanno poco spazio in casa o nessun giardino per ospitarlo, offrendo la possibilità di riportare l’esemplare acquistato al vivaio che lo terrà in custodia fino al prossimo Natale grazie all’impiego di speciali vasi che tramite dei fori permettono alle radici di crescere una volta ripiantati. Gli alberi, una volta spogliati degli addobbi, potranno essere così riconsegnati ottenendo indietro la metà del prezzo pagato. Quando l’abete sarà troppo grande – evidenzia Coldiretti -per essere ospitato in casa sarà restituito al bosco, il suo habitat naturale.
L’albero naturale italiano concilia il rispetto della tradizione con quello dell’ambiente poiché – informa la Coldiretti – è coltivato soprattutto nelle zone montane e collinari in terreni marginali altrimenti destinati all’abbandono e contribuiscono a migliorare l’assetto idrogeologico delle colline ed a combattere l’erosione e gli incendi. Gli abeti utilizzati come ornamento natalizio – rileva la Coldiretti – derivano per circa il 90% da coltivazioni vivaistiche mentre il restante 10% (cimali o punte di abete) dalla normale pratica forestale che prevede interventi colturali di “sfolli”, diradamenti o potature indispensabili per lo sviluppo e la sopravvivenza del bosco. In Italia la coltivazione dell’albero di Natale è concentrata prevalentemente in Toscana (province di Arezzo e Pistoia) ed in Veneto.
L’albero finto invece è anche inquinante oltre ad essere quest’anno più costoso, con rincari fino al 40% a causa degli aumenti delle materie prime, proprio a partire dalla plastica. Un abete artificiale di circa 1,90 metri – spiega la Coldiretti – ha un’impronta di carbonio equivalente a circa 40 chili di emissioni di gas serra, che è più di 10 volte quello di un albero vero. A determinare la maggior parte dell’impronta di carbonio dell’albero di plastica è – conclude la Coldiretti – la sua fabbricazione, a partire dal petrolio alla quale si aggiungono le emissioni industriali derivanti dalla produzione dell’albero e la spedizione per lunghe distanze prima di arrivare al negozio, se si tiene conto che la maggioranza ha origine in Cina a circa novemila chilometri di distanza dall’Italia, senza dimenticare che impiega oltre 200 anni prima di degradarsi nell’ambiente, contribuendo alla diffusione delle microplastiche nel suolo, nelle acque e nella catena alimentare.