Cultura
E se cominciassimo a misurare le parole?
Un lavoro che racoglie oltre 200 schede su parole "sensibili" redatte alla luce dell’etimologia, dell’uso corrente, dei dati e di innumerevoli esempi
Le parole sono pietre. Prendiamo in prestito il titolo del famoso scritto di Carlo Levi che denunciava la situazione siciliana per introdurre e riassumere il progetto “Parlare Civile – Comunicare senza discriminare” messo in piedi da Redattore Sociale, uno dei più importanti network multimediali italiano di servizi informativi, di documentazione e di formazione sui temi sociali. Parole che sono (sempre state) importanti – citando ancora il famoso sketch di Nanni Moretti nel fiml Palombella Rossa – proprio perchè ci aiutano a comunicare e lo sono ancor di più in un’epoca, la nostra, dove sembrano aver preso il predomio sulla ragione, non lasciando spazio alla riflessione… sono urlate, dette a vanvera, private del loro significato, svilite nella loro dignità, private di forza ed efficacia, sfruttate nelle più disparate valenze semantiche e spesso piegate a servizio di che le usa.Dovere dei comunicatori, e quindi anche il nostro, è quello di dare alle parole il giusto peso, di contestualizzarle, di usarle con ponderatezza e tatto. Insomma dare vita e dignità alle parole senza “utilizzarle” per deviare il discorso o con l’idea di perseguire con esse determinati vantaggi. Una parola che, parafrasando i celebri versi di Emily Dickinson, quando viene detta “inizia a vivere” permettendoci di trasmettere qualcosa al nostro interlocutore; nel nostro caso di dare una notizia capace di essere quanto più possibile fedele alla verità. Verità che, per essere comunicata, ha bisogno di parole che non confondano, che non creino fraintendimenti, che considerato anche l’avvento e il larghissimo uso dei social network, non offendano e aiutino a fare notizia promuovendo la verità e il rispetto.Proprio per questo (e non ci sembra per niente poco) nasce qualche anno fà il progetto “Parlare Civile – Comunicare senza discriminare” volto a fornire un aiuto pratico a giornalisti e comunicatori per trattare con linguaggio corretto temi sensibili e a rischio di discriminazione. Si tratta del primo tentativo in Italia che affronta in una cornice unica i seguenti argomenti: Disabilità, Genere e orientamento sessuale, Immigrazione, Povertà ed emarginazione, Prostituzione e tratta, Religioni, Rom e Sinti, Salute mentale, HIV/Aids. Il tutto condensato in un libro allo stesso titolo (edito da Bruno Mondadori) e nel sito web www.parlarecivile.it che contiene oltre 200 schede su parole chiave redatte alla luce dell’etimologia, dell’uso corrente, dei dati, di innumerevoli esempi di buono o cattivo uso nella comunicazione, di alternative praticabili.
L’INTERVISTA A STEFANO TRASATTI
Il linguaggio non è un aspetto secondario Bisogna usare le parole in maniera adeguata
Stefano Trasatti, giornalista ed esperto di comunicazione, è il fondatore di Redattore Sociale (di cui è stato direttore fino a marzo 2016) e tra i promotori del progetto Parlare Civile. Lo abbiamo intervistato per farci spiegare quanto sia importante usare bene le parole. Come nasce l’idea del progetto Parlare Civile?Si tratta di una vecchia idea di Redattore Sociale rimasta però in embrione. L’obiettivo era quello di lavorare sul linguaggio perchè, per parlare bene del sociale, bisogna fare molta attenzione ai termini più che in altri argomenti. Con i temi sociali si rischia, infatti, con un linguaggio sbagliato, di alimentare quegli atteggiamenti di rifiuto e di intolleranza che spesso il pubblico ha verso questi fenomeni. L’altro rischio grosso è, poi, quello di usare parole offensive facendo danni a persone che non hanno la possibilità di difendersi. Quindi non alimentare pregiudizi e non alzare muri con l’obiettivo di usare parole adeguate agli argomenti trattati. Il nostro motto è: non esistono parole sbagliate. Esiste un uso sbagliato delle paroleDa qui l’idea di realizzare un vero e proprio manuale.Si, un manuale che è diventato il distillato di quello che è sul web. Per realizzarlo, grazie all’aiuto di alcune associazioni che hanno sostenuto economicamente il progetto, siamo andati all’estero, abbiamo ascoltato le persone coinvolte direttamente nei temi trattati e gli esperti del settore.Dalla prefazione del libro leggiamo che questo lavoro intende porsi come servizio per gli operatori della comunicazione, fornendo le conoscenze di base aggiornate per trattare e valutare le informazioni su temi “sensibili”, al fine di garantire una loro trasmissione corretta sui mass media e ridurre il rischio di discriminazione. Quanto definiresti questa come emergenza?Il progetto nasce proprio da un’emergenza quando, a partire dal 2008, c’era un dibattito molto forte sulla parola clandestino che all’epoca era diventato un sinonimo di delinquente. L’immigrazione resta uno di quei casi nei quali si può parlare di “emergenza linguaggio”. Quindi lo scopo del progetto è quello di far abituare i comunicatori ad interiorizzare questi snodi aiutandoli ad usare le parole in maniera adeguata. ’Quali parole, secondo la sue esperienza e le ricerche fatte per la realizzazione del progetto, sono quelle più abusate?Sicuramente l’immigrazione è il settore in cui ci sono più usi inadeguati delle parole e in cui è più facile che il loro uso ingeneri intolleranza e sentimenti di razzismo. Poi c’è un settore sottovalutato che è quello della disabilità in cui le sfumature sono importantissime, dove spesso si cancella la persona che spesso viene identificata con il suo handicap. Altro tema pericoloso è quello della salute mentale e dei rom.Le parole spiegate nel volume sono contenute in alcuni ambiti: disabilità, immigrazione, orientamento sessuale… Quali sono quelli che necessitano di un maggiore approfondimento? Su cosa invece bisognerebbe ancora accendere i riflettori?Questo è un progetto ancora aperto che, partito con otto categorie, è stato poi ampliato con quello sull’HIV/AIDS. Un tema rimasto fuori è stato quello della giustizia con tutto l’uso dei termini come: reato, pregiudicato, pentito. A questo si aggiunge il tema della povertà che andrebbe ampliato di più. Così come si dovrebbe arricchire ancora il tema delle religioni per l’importanza che riveste.Sono però tanti gli argomenti trattati e numerose le parole approfondite e spiegate. Come accostarsi quindi a questo lavoro?La nostra intenzione non era quella di diventare eccessivi, o sembrare dei professori. Non vogliamo nemmeno essere dei fondamentalisti del politically correct, ma abbiamo avuto l’intenzione di fornire uno strumento che diventasse utile agli operatori della comunicazione per approcciarsi a dei temi sensibili. Il messaggio che sta dietro questo progetto è questo: il linguaggio è in continua evoluzione. Quello che oggi troviamo corretto domani potrebbe essere considerato offensivo. Bisogna prendere consapevolezza non diventando fondamentalisti del linguaggio ma senza nemmeno considerarlo un aspetto secondario.