Tutti i nemici del giudice Giovanni Falcone.

Nostra Intervista a Giovanni Bianconi del "Corriere della Sera" che, a Cosenza, ha presentato il suo libro "L'assedio. Troppi nemici per Giovanni Falcone". Il libro ripercorre le ultime fasi della vita del magistrato di Palermo. 

A 25 anni dall’attentato di Capaci, la fi gura di Giovanni Falcone continua ad attirare l’attenzione nel corso di dibattiti, incontri e presentazioni di libri. Giornalisti, analisti, studiosi, politici e magistrati cercano di far luce sugli aspetti ancora oscuri sulla sua morte. Giovanni Bianconi, penna di punta del “Corriere della Sera”, di cui è inviato e segue le più importanti vicende giudiziarie e di cronaca, ha presentato, nel chiostro san Domenico a Cosenza, il suo ultimo libro “L’Assedio troppi nemici per Giovanni Falcone”. Bianconi ripercorre l’ultimo periodo di vita del magistrato palermitano attraverso i ricordi, i documenti, l’indagine nella storia, rivelando la condizione di accerchiamento e di isolamento in cui Falcone operava.

Bianconi, l’Assedio… da quale esercito?

Da un esercito composito, fatto, certamente, di mafi osi che cercavano Giovanni Falcone e alla fi ne lo trovarono. Tuttavia, fatto anche da colleghi, da magistrati, da personaggi delle istituzioni, da uomini politici, da intellettuali, che hanno ostacolato il progetto del giudice palermitano, pensando a torto, secondo me, che fosse un’arrivista, uno che cercava visibilità e potere. Niente di tutto questo. Semplicemente, cercava di fare il suo lavoro.

Come ha ripercorso quegl’anni, del Csm, degli attacchi di parte dello Stato e della mafi a siciliana?

L’ho ripercorsi studiando e rivivendo quello che ha vissuto Falcone negli ultimi anni di vita. Perché fu messo sotto accusa dal Consiglio superiore della Magistratura per non aver voluto processare alcuni uomini politici. Non era così. Lui voleva salvaguardare quelle indagini su quegli esponenti. Non voleva salvarli. Invitava, però, ad utilizzare le indagini giudiziarie per quello che sono, per la ricerca di prove, non la messa in stato d’accusa generica. Infatti, Falcone non trascrisse le rivelazioni di Buscetta su Salvo Lima perché voleva salvaguardare quell’indagine e dedicarsi principalmente al processo contro la cupola di Cosa Nostra. Ho riletto le sue dichiarazioni pubbliche e meno pubbliche dell’epoca.

(Giovanni Bianconi, foto Osvaldo Spizzirri)

Il Procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri in un incontro con i giovani ha detto che Falcone viene ricordato in particolare, perché sono stati proprio i giovani a ribellarsi… mentre chi, tra gli adulti, è stato contrario al magistrato, alla fi ne, s’è accodato in modo ipocrita. Cosa ne pensa? 

Credo a Falcone sia toccato, in sorte, questo strano destino che succede ad alcune persone, ovvero quello di essere osannati da morti dopo essere stati osteggiati da vivi. Il che non è una bella cosa per il Paese. Certamente, la riscossa dopo le stragi del 1992 ha segnato un riscatto anche rispetto alle accuse che Falcone ha subito da vivo.

Un cancro della società attuale è proprio la cultura mafiosa. Come la si combatte?

La cultura mafi osa si combatte con la cultura, senza aggettivi cercando di rendere le persone consapevoli di cose gli accade intorno, facendoli cittadini liberi, che sappiano individuare quando la mafi a li rende meno liberi.

Molti procuratori e studiosi, aff ermano che la ‘ndrangheta da anni abbia soppiantato Cosa Nostra. Lei come analizza questa organizzazione criminale?

E’ un dato di fatto. Negli ultimi venti anni, soprattutto a livello internazionale per la guida nei traffi ci di sostante stupefacenti ma non solo, la ‘ndrangheta ha soppiantato la leadership di Cosa Nostra. E’ diventata una multinazionale affermata a livello criminale. Infatti, ci son emergenze processuali che indicano come la mafia siciliana si rivolge a quella calabrese per riavere una fetta del mercato della droga.

Cosa ne pensa del presunto baciamano al boss Giuseppe Giorgi, catturato a San Luca qualche settimana fa?

Quello fa parte della cultura mafi osa, anche, nascosta. Magari uno non se ne rende conto, però, quello fa parte di quella cultura. Dunque, occorre rendersi conto, per una buona lotta a questo tipo di pensiero, del significato intrinseco, ma deleterio di certi gesti che possono avere.

Cosa è oggi il ricordo di Falcone?

Significa riprendere in mano quello che lui sosteneva e diceva, cercando di cogliere quello che non s’è colto da vivo, cioè, la volontà di modernizzare gli strumenti di indagine e di indirizzare l’azione della Magistratura su terreni che oggi sono di grande attualità, come le indagini specializzate, ma anche rivitalizzare quella cultura delle indagini che miri a fare i processi e non soltanto a farsi pubblicità.

Che vuol dire lavorare in Calabria e fuori?

La Calabria si trova in una situazione particolare, perché è una terra chiusa dove si fa fatica a rompere quegli schemi di cultura mafiosa, però, negli ultimi anni è riuscita a mostrare segni di riscatto.