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Il grande Urban: Cosenza, provaci!
Verso il derby. A PdV online il furetto rossoblù si racconta. Intervista a tutto campo sulla sua storia con la maglia dei lupi, sugli allenatori che ha avuto in riva al Crati. Il passaggio su Denis Bergamini, suo compagno di spogliatoio. E un'analisi del campionato in corso. "Il Cosenza è una buona squadra. Da tifoso per domani dico vittoria".
Il Derby della Calabria è alle porte. Domani allo stadio Ceravolo si affronteranno Catanzaro e Cosenza. In vista di questo importante scontro abbiamo intercettato Alberto Urban e con molta gentilezza ha consentito una sua intervista in esclusiva a Parola di Vita. Non si è parlato soltanto del big match tra lupi e aquile, ma si è parlato di importanti tematiche di rilievo nazionale (come la crisi del nostro calcio) e della sua esperienza con la casacca rossoblu. Urban è giunto nel 1986 nella Città dei Bruzi, quando la compagine silana militava nel girone B di C1, dove rimase per tre stagioni. Nella prima totalizzò 31 presenze andando a segno 7 volte. Nella seconda, fu uno dei protagonisti della storica promozione in Serie B (mancava da un quarto di secolo) collezionando 30 presenze e 3 gol sotto la guida del mister Gianni Di Marzio. Nell’ultima in Serie B, Urban si consacrò. Sulla panchina del Cosenza sedeva Bruno Giorgio (uno dei migliori allenatori della storia del Cosenza Calcio) e il giocatore segnò 36 presenze e 4 reti. In quel campionato il Cosenza sfiorò la promozione in Serie A per la classifica avulsa, concludendo al 4° posto con Cremonese e Reggina. L’anno seguente venne ingaggiato dal Genoa di mister Franco Scoglio in Serie A, ma tornerà a Cosenza nel 1996 e restò fino al 2001 come allenatore delle giovanili. Urban era un giocatore eccezionale, abile e veloce che amava giocare dietro le punte o come seconda punta, soprannominato lo “straniero” perché nacque a Sanit-Avold, in Francia, da genitori italiani.
Alberto, quando arrivaste per la prima volta a Cosenza come vi è parsa la città, la società del club calcistico e i vostri nuovi compagni di squadra?
Il primo anno fu molto fondamentale. Il presidente era Parise e in quel periodo era da solo al comando. Poi subentrarono nuovi dirigenti come Carratelli e tanti altri, non voglio fare i nomi altrimenti dimentico qualcuno. Li c’è stato, veramente, il rinnovo totale della società. Finimmo il campionato tra le prime 4 in classifica, perché facemmo la Coppa Italia. In quell’annata venne esonerato Liguori e sostituito con Di Marzio. Con Liguori stavamo andando benino perché l’organico non era fatto per vincere il campionato. Tanti meriti, anche a Di Marzio cui era un allenatore carismatico, preparato e adatto per vincere i campionati. Nella stagione seguente con nuovi giocatori importanti come Padovano, Giovanelli e Castagnini abbiamo raggiunto importanti traguardi grazie anche al lavoro della società e del direttore Roberto Ranzani.
Il suo arrivo riscaldò e non poco gli animi dei tifosi, perché l’anno prima era stato indicato, da molti allenatori e dal quotidiano nazionale “Corriere dello Sport”, come miglior giocatore di tutta la Serie C. Infatti, l’allenatore Corrado Viciani (inventore del “gioco corto”, primo ad introdurre il pressing e pioniere del tiki-taka spagnolo) vi definì:”giocatore insostituibile per qualunque squadra che ha la fortuna di possederlo. La Serie C è una categoria che gli va stretta. Urban è unico. Riesce a fare delle cose incredibili”. E’ d’accordo?
Adesso, dopo tanto tempo, devo dire di si. La mia carriera è stata bella. Sono stato in Serie A e B. Credo che abbia visto molto bene.
Ritorniamo all’esonero di Liguori, la notizia vi raggiunge quando lei e il resto della squadra eravate in ritiro a Spezzano Albanese e voi non accettaste la decisione presa dalla società.
Noi ci ribellammo non per l’arrivo di Di Marzio, ma per l’esonero di Liguori che secondo noi non era giusto. Lasciammo il ritiro e tornammo a Cosenza. Il martedì scendemmo in campo per l’allenamento perché, giustamente, i tifosi iniziarono a fare un po’ di baldoria e noi, pressati dalla società iniziammo un bellissimo rapporto con Di Marzio, che non c’entrava nulla. Noi volevamo solo supportare il lavoro fatto da Liguori.
Appena arrivato, Di Marzio mostrò subito il suo carisma dicendo che era venuto per lavorare e si augurò che nei giocatori prevalesse il buon senso.
Assolutamente si, Di Marzio è stato un grande allenatore e soprattutto una grande persona. Aveva già molta esperienza allenando in Seria A e in B. Non si poteva metterlo in discussione. Personalmente l’ho stimo ancora oggi.
Finita questa stagione, nell’ ’87-88 grazie ai nuovi innesti da parte della società il Cosenza disputerà un ottimo campionato concludendo con la promozione in Serie B. Dopo un buon inzio però i rossoblu vengono sconfitti a Foggia subendo ben cinque reti. La squadra si riprende la domenica seguente vincendo a fatica contro il Campania, ma capitola nuovamente a Reggio. Tuttavia, i lupi reagiscono e dopo la vittoria ad Ischia, inanellano vari successi incominciò il cammino trionfale che culminò con l’accesso nella serie cadetta. Qual era la vostra forza?
La forza era il gruppo di giocatori, l’allenatore e la società. Di Marzio ci disse, dopo la sconfitta a Foggia, che noi avremmo vinto il campionato. Infatti è stato molto saggio. La squadra era composta da giocatori esperti. La società era molto solida e presente in tutta la settimana. C’è stato il giusto mix che ci hanno portato a vincere il campionato”
Se le dico Cosenza-Nocerina, che cosa le viene in mente?
E’ una partita che l’abbiamo ancora davanti gli occhi. Lo stadio era stracolmo con 24.000 spettatori. La partita la chiudemmo subito dopo 20 minuti con due gol. E’ stato un momento indimenticabile.
L’anno seguente, in Serie B, con Bruno Giorgi in panchina, il Cosenza raggiunse il massimo splendore della sua storia perché si sfiorò la Serie A.
Giorgi è stato grande allenatore. In quella stagione ci penalizzò la classifica avulsa, inserita per la prima volta poiché dovevano partire i campionati e perchè c’era il Mondiale in Italia.
Cosa è stato per lei il Cosenza?
E’ stato tutto. La città mi era rimasta nel cuore. Spesso vengo a visitare Cosenza dove ci sono molti amici tra cui Santino Fiorentino, mio grandissimo dirigenti. Il centro è cresciuto e sta maturando. Dico una cosa ai tifosi, sostenete sempre la squadra anche nei momenti più difficili.
A Cosenza è rimasto impresso il ricordo di Donato Bergamini. Avendo condiviso con lui lo spogliatoio, ci racconta che ragazzo era?
Uno splendido ragazzo, educato, rispettoso, senza vizi e sereno. Una persona di buona famiglia. Lo ricorderò sempre. La settimana prima della sua tragica morte, ero a Milano a vedere il Cosenza che giocava a Monza, approfittando del fatto che la Serie A era ferma. Ricordo che mi diede il suo cappotto della divisa perché a Milano faceva freddo.
Che differenza ci sono tra il calcio di oggi e quello di un tempo?
Il pallone in sé per sé non è cambiato. Ci sono state variazioni nella qualità. Oggi c’è tanta corsa, ma poca qualità. Anche questo è un fenomeno che allontana la gente dagli stadi. Non ci sono le particolarità del singolo che diverte il tifoso. Non c’è spettacolo. Allora il tifoso, oggi, viene preso solo dal risultato e va allo stadio se si vince, ma se deve andare al campo per non divertirsi, il tifoso si allontana. Prima vi erano, in ogni squadra, giocatori che divertivano il pubblico, ora se uno in Serie A supera due o tre uomini viene ritenuto un fenomeno.
Secondo lei il calcio italiano in crisi morale ed economica, sotto la guida Tavecchio, può riemergere?
Sinceramente non lo so, non conosco questi personaggi. Se abbiamo dei dirigenti che vanno a vedere solo il lato economico come Lotito e non di crescita del Calcio, come denunciato da Iodice (DS dell’Ischia), vengono pressate tutte le squadra. Certe devono essere portate in Serie A altrimenti non prendiamo soldi in Europa. Non è più un calcio spettacolo o della passione vera dei presidenti, ma è solo alla ricerca di soldi. Faccio fatica a capire che mettono a posta le cose. Questi sono fatti gravissimi. Purtroppo chi è al comando non può essere condannato perché si danneggia l’amico che ti ha dato la mano. O si cambia totalmente la generazione mettendo gente nuova, pulita o si andrà incontro ad altre difficoltà. Ora noi riusciamo ad eleggere presidente uno che dice “facciamo giocare quelli che mangiavano le banane” e viene passata come battuta e noi che da anni lottiamo contro il razzismo dovremmo toglierli dal calcio. Basta con la politica dei compromessi. Bisogna fare fare e fare.
Ora spostiamoci sul derby. Circa 4 anni fa sia nel panorama calcistico di Cosenza e Catanzaro si è assistiti ad un fallimento delle società. Si è ripartito con sodalizi nuovi prefissando degli obiettivi. Secondo lei, i due club sono sulla strada giusta per ambire a ritornare ai fasti di un tempo?
Credo che il Cosenza abbia un società solida che programma il campionato spendendo un certa cifra di denaro per raggiungere determinati obiettivi. Sono sulla buona strada. Il Catanzaro non lo so perché nel mercato di gennaio ha dovuto dar via a un po’ di giocatori e oggi forse ha qualche problema societario.
Le piace la rosa del Cosenza?
E’ una buona squadra. E’ normale che se si trova in quella posizione di classifica ha qualche difetto. Quando vidi giocare il Cosenza a Caserta, con Cappellacci in panchina, era una squadra che non mi piacque. Squadra molto difensiva, solo palle lunghe e possesso palla solo dietro. Ora è più viva, ma anche sfortunata. Adesso bisogna salvarsi puntando a vincere questo derby.
Del Catanzaro, invece?
Lo vidi giocare a settembre con Moriero allenatore e tutti gli effettivi a disposizione. Era una squadra che poteva far parte del gruppo dei 5. Non era per nulla inferiore a Salernitana e Benevento e poteva lottare per un 4-5 posto.
Pronostico per Catanzaro-Cosenza?
Lo faccio da tifoso. Per me è 2. Anche un pareggio sarebbe una cosa positiva.
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