La riforma delle BCC proietta i territori nel sistema Europa

Giunge al traguardo un profondo processo di trasformazione del sistema del  credito cooperativo. Il rischio era quello di snaturare lo spirito mutualistico e solidaristico che sin dalla fondazione, oltre 150 anni fa, ha sempre contraddistinto questo comparto dell’attività creditizia, diffuso sul territorio nazionale e molto legato al mondo agricolo, a quello artigianale e della piccola industria.

Giunge al traguardo del Senato, che darà il via libera definitivo, la riforma del sistema del credito cooperativo e delle casse rurali ed artigiane. Giunge così al termine un processo di trasformazione messo in campo da oltre un anno e che ha suscitato non poche discussioni, proprio a partire dal mondo cooperativo. Il rischio di una manovra sbrigativa e superficiale sarebbe stato quello di snaturare lo spirito mutualistico e solidaristico che sin dalla fondazione, oltre 150 anni fa, ha sempre contraddistinto questo comparto dell’attività creditizia, diffuso sul territorio nazionale e molto legato al mondo agricolo, a quello artigianale e della piccola industria. Con la riforma, le oltre 350 banche che costituiscono attualmente il sistema Federcasse vedranno la nascita di un inedito gruppo bancario principale, che farà da riferimento per la maggioranza degli istituti cooperativi attualmente presenti. Si prevede inoltre che la catena delle banche altoatesine Reiffeissen e forse anche quelle trentine si orientino in un secondo momento a dare vita a due distinti gruppi, più piccoli, per salvaguardare la loro specificità geografica e storico-economica. La capogruppo principale dovrebbe avere un patrimonio proprio di oltre 1 miliardo di euro e amministrare un attivo di oltre 100 miliardi. Come tutti i gruppi bancari europei dalle dimensioni “sistemiche”, dovrà sottostare al controllo diretto da parte della Banca Centrale Europea (Bce), che imporrà così anche alle “piccole” Bcc unite, seppure in maniera indiretta, i controlli stringenti su diversi ratio patrimoniali che passano sotto il nome sintetico di stress test.Sotto il controllo della Bce. L’aspetto inedito di questa trasformazione (salvo sorprese dell’ultimo momento) dovrebbe essere che diversamente dalla presenza di una “capogruppo” ordinaria, che ha potere di vita e di morte sulle realtà aziendali sottostanti, nel caso del sistema Bcc saranno le centinaia di banche alla base della piramide a “controllare” il suo vertice, anche se – di converso – la stessa capogruppo disporrà di una propria autonomia operativa e di controllo, che le deriverà dal “contratto di coesione” firmato dalle aziende bancarie sue azioniste. La controllante farà da interlocutore rispetto alla Bce, ma dovrà anche rispondere alle Bcc sue controllate, le quali a loro volta dovranno assicurare criteri di sana gestione coi parametri di prudenza imposti dalle autorità europee. Tutto ciò per evitare che, come è avvenuto in questi ultimi 6-7 anni di crisi, anche nelle piccole e un tempo sane Bcc si verifichino sacche di crisi, con crediti deteriorati o incagliati. Come è noto, le difficoltà senza fine delle banche europee derivano dal fatto che i creditori cui hanno prestato denaro per il 15-20% non riescono più a restituirlo. E lo stesso è avvenuto, pur in misura minore (10-12%) per la prima volta in oltre un secolo, tra i piccoli imprenditori dei territori, mettendo in difficoltà una cinquantina di Bcc su 350. Le novità e i cambiamenti previsti. Ci potremmo chiedere cosa succederà in concreto per le Bcc con il varo della riforma: in realtà, non molto in prima battuta. Infatti, ci vorranno 18 mesi per dare vita ai nuovi gruppi, tra il principale e i due previsti in regione Trentino-Alto Adige. Le singole banche di credito cooperativo dovranno quindi aderirvi, o viceversa optare per la cosiddetta “way-out” (uscita dal sistema). Lo potranno fare solo gli istituti con capitale superiore a 200 milioni, lasciando le riserve indivisibili di propria spettanza in una cooperativa apposita che continuerà l’attività mutualistica originaria. Tra l’altro, le Bcc che vorranno scegliere di uscire dal sistema dovranno versare un importo pari al 20% del capitale netto e ciò sarà sicuramente un deterrente a facili ambizioni “privatistiche”. La novità più grossa riguarderà, probabilmente, i manager perché il fatto di essere sotto il controllo della Bce esigerà che al vertice, dentro la capogruppo e nelle banche principali, ci siano figure capaci di trattare a livello europeo, cosa attualmente di per sé non strettamente necessaria. E probabile che il nuovo gruppo delle banche cooperative assuma, una volta completata la trasformazione, una dimensione da terzo o quarto gruppo bancario del Paese (dopo Intesa, Unicredit, Banco Popolare-Bpm da poco fusi), con i relativi vantaggi e oneri. Al tempo stesso dovrebbero essere salvaguardate le caratteristiche di banche “del territorio”, in una alchimia tutta da costruire, tirate come saranno le singole banche tra la base di clientela costituita da azionisti popolari che rimane invariata e un vertice che sarà costretto a esigere parametri patrimoniali “europei”. Insomma, una bella sfida!