Attualità
Le università del Sud attraggano studenti dal Mediterraneo e dai balcani
E' la proposta di Gianfranco Viesti, ordinario di economia applicata all’università di Bari: favorire l’accesso di giovani stranieri alle nostre università nell’ambito di politiche di coesione nazionali. "La presenza straniera - sottolinea - è molto contenuta in qualche università del Nord, quasi assente nelle università del Centro-Sud". A questo si aggiunge un dato demografico preoccupante: "La demografia gioca a sfavore delle università italiane. Soprattutto al Centro-Sud d’ora in avanti il numero dei 19enni tenderà a diminuire e quindi il bacino normale di attrazione degli studenti si ridurrà".
Favorire l’accesso di giovani stranieri alle nostre università nell’ambito di politiche di coesione nazionali. Progettare secondo i migliori standard accademici internazionali un’integrazione dal Mediterraneo e dai Balcani per migliorare l’intero sistema pubblico italiano. È uno degli aspetti analizzati da Gianfranco Viesti, ordinario di economia applicata all’università di Bari, nel volume “Università in declino: un’indagine sugli atenei da Nord a Sud” (Donzelli editore).
A che punto siamo con la presenza degli studenti stranieri nel nostro paese?L’Italia è tradizionalmente un paese che attrae pochi studenti stranieri. In questo ambito Stati Uniti e Inghilterra hanno un vantaggio storico, consolidato, linguistico, perché l’Inghilterra ha le colonie e gli States la dimensione straordinaria del sistema universitario. In Europa, ad esempio, la Francia ha un antico legame coloniale e linguistico. Però, anche se ci paragoniamo alla Germania e la Spagna, che hanno meno questi legami, la nostra quota di studenti stranieri è molto bassa.
Questo è l’andamento nazionale?La presenza straniera è molto contenuta in qualche università del Nord, quasi assente nelle università del Centro-Sud. Ma c’è un altro elemento importante.
Quale?La demografia gioca a sfavore delle università italiane. Soprattutto al Centro-Sud d’ora in avanti il numero dei 19enni tenderà a diminuire e quindi il bacino normale di attrazione degli studenti si ridurrà.
Questo rende opportuno incrementare la presenza di giovani stranieri?L’Italia ha sempre giocato un ruolo significativo nel Mediterraneo. Da tempo penso che l’attrazione degli studenti del bacino del Mediterraneo e dei balcani dovrebbe essere una grande questione di politica nazionale. Non si tratta solo dei singoli atenei che organizzano un corso, ma di un piano nazionale. Pensiamo alla Francia, che dalla decolonizzazione in poi ha realizzato politiche di integrazione rivelatesi molto importanti. Non è importante tanto avere qualche studente in più, quanto creare legami con persone che poi diventano classe dirigente nei loro Paesi. Questo sarebbe un grande investimento anche per noi, e per gli stessi studenti stranieri.
Integrazione universitaria e immigrazione. Quale legame?Quanto appena detto potrebbe assumere un significato nuovo proprio in questo periodo. Da noi gli immigrati fanno lavori molto modesti, tanti ingegneri fanno i metalmeccanici o donne laureate dell’Est le badanti. Bisogna valorizzare la loro presenza. La pressione migratoria poi, anche per le crisi fortemente crescenti, va in qualche modo governata e l’idea di tenere le porte chiuse è un’illusione pericolosa. Bisogna fare politiche di governo, di grande respiro, perché quello che viene fatto adesso è semplice bricolage. Ci vuole un’iniziativa politica su scala nazionale.
La politica è stata assente?Non è mai stato fatto niente in questo campo, se non qualche attività del Ministero dell’Università con alcuni accordi all’estero, ma non abbiamo una politica attrattiva.
Quale vantaggio da un tipo di politica ad ampio respiro?Potrebbe avere un effetto di ritorno positivo sul sistema universitario, soprattutto al Sud, che necessita di una politica di sviluppo. Aumentando la domanda dall’estero alle nostre università si creerebbero delle forme di competizione virtuose.
È fattibile?Certo. Questa politica però non si fa schioccando le dita, ma si può fare nel tempo e con politiche pubbliche che durino. In questo modo tutti gli attori del sistema si valorizzano e apprezzano, perché questo significa migliorare i servizi e rinforzare le attività didattiche. Potrebbe essere ad esempio la spinta all’istituzione di corsi di lingua in una dimensione ancora più grande, anche se gli studenti stranieri li dobbiamo attrarre non solo con i corsi di lingua, ma invitandoli a studiare in italiano. Questo significa essere un Paese forte. Auspico poi meccanismi, che, usando le reti delle ambasciate e dei consolati, possano aiutarci nell’attrattiva, perché ho il timore che almeno una parte degli studenti internazionali che arrivano in Italia sono quelli che non riescono ad andare da altre parti. Infine, potrebbe essere possibile legare questo quadro più complessivo a un’azione specifica che abbia a che fare con la crisi migratoria. Raggiungere i profughi in zone di guerra, ospitarli e invitarli nelle nostre università. Sarebbe una politica ambiziosa ma non molto costosa.