Yemen, la guerra dimenticata: ancora incerta la sorte del salesiano rapito

Una guerra dimenticata che in un solo anno ha già causato migliaia di morti e feriti di cui la metà civili, con oltre 2 milioni e 800mila sfollati. L'80% della popolazione è povera, affamata, terrorizzata nella contesa tra truppe governative sostenute dall'Arabia Saudita e ribelli sciiti della tribù houthi appoggiati dall'Iran. Ancora incerta la sorte del salesiano indiano rapito durante l'attacco terroristico a marzo, durante il quale sono state uccise anche quattro suore Missionarie della Carità.

Oltre 6.400 morti metà dei quali civili e 30mila feriti; più di 2 milioni e 800mila sfollati su una popolazione di 26 milioni di abitanti. Tra questi 785 bambini morti, 1.168 feriti, circa 320mila malnutriti. Bambini che muoiono o addirittura vengono incarcerati come prigionieri di guerra. Ospedali e strutture sanitarie bombardate, nello spregio più totale del diritto umanitario internazionale. Secondo l’Onu – che distribuisce già cibo a 3 milioni di persone tramite il World food program – almeno 7,6 milioni di persone hanno bisogno di assistenza alimentare.Tutto questo in un solo anno di una guerra assolutamente dimenticata, quella nello Yemen. Un conflitto interno tra ribelli sciiti della tribù houthi, ora alleati del loro vecchio nemico, l’ex presidente Abdullah Salah e appoggiati dall’Iran, e il governo yemenita di Abd Rabbo Mansur Hadi, sunnita, sostenuto da una coalizione di Paesi arabi capeggiata dall’Arabia Saudita. Che Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia riforniscono di armi. In questo panorama di morte e distruzione i combattenti di Al Qaeda e dello Stato islamico sono entrati di recente per seminare il terrore con attacchi suicidi e attentati.

Le suore uccise, il salesiano rapito, pochi cristiani.  Ne hanno fatto le spese lo scorso 4 marzo anche i rarissimi cristiani (poche centinaia di immigrati africani e asiatici), con la barbara uccisione delle quattro suore Missionarie della Carità di Madre Teresa, insieme a dodici persone che lavoravano con loro in una struttura per disabili ad Aden. Il Papa stesso lo ha definito “un atto di violenza insensata e diabolica”. Legati agli alberi e abbattuti, uno alla volta, con colpi alla testa, come ha raccontato l’unica religiosa sopravvissuta alla strage, viva per miracolo. Durante l’attacco jihadista è stato rapito anche il salesiano indiano padre Thomas Uzhunalli, di cui almeno ufficialmente non si sa più nulla.

In un primo momento era circolata la notizia, poi rivelatasi falsa, che era stato crocifisso durante il venerdì santo. Le autorità indiane hanno invece smentito la notizia della morte. L’8 giugno i vescovi del Kerala (lo Stato indiano di cui è originario il sacerdote) hanno inviato al governo indiano un messaggio in cui si dicono preoccupati per “l’incertezza” riguardo al suo rilascio e per la “situazione di stallo” nelle trattative. Le suore di Madre Teresa e i salesiani sono da decenni le uniche presenze nel Paese, al servizio di una piccolissima comunità. Al momento, vista la situazione pericolosa, non c’è più nessun salesiano. Le Missionarie della Carità sono invece rimaste.

L’80% della popolazione in difficoltà. Intanto l’80% della popolazione ha difficoltà a reperire generi alimentari, nel timore della morte costante, tra la drammatica scelta se restare o fuggire. Gli attacchi vengono dal cielo, con gli aerei della coalizione guidata dall’Arabia Saudita, o da terra, con le truppe dei ribelli e governative che si fronteggiano. Nella città di Taiz gli abitanti vivono con la paura dei cecchini, dei proiettili vaganti e dei colpi di mortaio di entrambi i gruppi combattenti. In passato c’erano 20 ospedali per 600mila abitanti, ora ne funzionano parzialmente solo sei.

Attacchi agli ospedali e difficili negoziati di pace. Perfino le strutture sanitarie e le ambulanze vengono prese di mira: le attività di Medici senza frontiere sono state attaccate quattro volte da ottobre a gennaio di quest’anno. L’organizzazione ha richiesto un’indagine indipendente sull’attacco all’ospedale di Sharia, che ha ucciso sei persone e ne ha ferite sette tra personale medico e pazienti. A Taiz, il 3 giugno scorso, gli ospedali dell’organizzazione medico-umanitaria hanno curato in un solo giorno 122 feriti e altre 12 persone erano già morte all’arrivo in ospedale. La maggior parte erano civili. Nel frattempo i negoziati di pace in corso da aprile in Kuwait proseguono con difficoltà, come la sospensione dei colloqui e le violazioni della tregua. Tra le prime notizie positive la liberazione incondizionata dei bambini fatti prigionieri e lo scambio della metà dei prigionieri detenuti, per provare a ristabilire la fiducia tra i belligeranti.