Ricca: a 500 anni da Lutero è tempo di una diversità riconciliata

Il teologo, pastore valdese, intervenuto a Cosenza al Convegno Sae.

L’Oriente cristiano negli scritti di Lutero” è stato l’incontro organizzato dal Sae di Cosenza e che nella chiesa di Bethel ha visto la presenza del teologo Paolo Ricca, pastore della chiesa valdese. Lo abbiamo intervistato.

Quale legame tra Lutero e la Parola di Dio?

Questa domanda ci porta al cuore di tutta la vicenda non solo di Lutero, ma della Riforma protestante in generale. La Riforma è nata attraverso una meditazione, riflessione approfondita e appassionata della Parola biblica. Quando si parla di Parola in riferimento alla Riforma e alla sua teologia, si parla della Parola che Dio ha pronunciato attraversoi secoli, che ha un unico contenuto, quello rappresentato da Gesù, che non a caso è stato definito dall’apostolo Giovanni Parola fatta carne, cioè vita, persona, storia.

Lei ha seguito i lavori del Concilio Vaticano II. Tra le fonti della Rivelazione – ha detto il Concilio – oltre alla Parola c’è la Sacra Tradizione. Essa che fine fa nella Riforma di Lutero?

Fa una bella fine nel senso che nella Riforma di Lutero la Tradizione ha un grande rilievo, ma quella conforme alla Parola di Dio. Nella Riforma ci sono tre forme della Parola:la Parola stessa, la Tradizione e il Magistero, ma la Parola di Dio è la norma superiore che governa le altre due. Dunque Tradizione sì, ma nella misura in cui riflette e rifrange laluce della Parola di Dio.

Questo ha costituito un limite ai rapporti tra cristiani?

Storicamente è accaduto, ma rispetto a prima il Concilio Vaticano II ha fatto un’operazione importantissima, quella di mettere la Bibbia nelle mani dei laici. Questo non era mai successo veramente, ed anzi nei tempi passati un laico che voleva leggere la Bibbia doveva chiedere il permesso al superiore ecclesiastico. Questa, secondo me, è l’operazione principale che ha fatto il Concilio Vaticano II. Inoltre ha stabilito che la Sacra Scrittura è superiore alla teologia. La Scrittura così ha preso nell’universo spirituale cattolicouna posizione nuova, alta. La Scrittura è il polo a partire dal quale la fede cattolica viene nutrita e rinnovata quotidianamente.

Oggi l’abbiamo capita veramente questa Scrittura che ci è stata messa in mano in fondo da pochi decenni?Questo non lo so. So però che vedo che cresce il desiderio di conoscere meglio e più approfonditamente, di studiare, sia comunitariamente che personalmente, la Parola di Dio. Questo è un atteggiamento sano.

Papa Francesco sta mettendo in discussione, in condivisione, il primato del Papa anche rispetto alle Chiese autocefale dell’Oriente?

Questo Papa, fra le varie caratteristiche, è quella di non mettere tanto in evidenza questo primato. Paradossalmente, è un Papa che non fa il papa, che non utilizza e non esibisce i poteri che il dogma del Vaticano I gli riconosce. Questo è un segno importante, di una persona che vuole servire. Il primato, nell’Evangelo, nella versione di Gesù, è prendere l’ultima posizione.

Lei è un pastore. Ma anche i vescovi e i parroci lo sono. In che consiste l’essere pastori e in cosa consiste oggi?

Anzitutto, stare con un gregge, con il Popolo. Il pastore è nella comunità, in mezzo alla comunità, con e per la comunità. È l’essere con la gente, di una parrocchia, di una comunità. Ma per cosa? Per dialogare, condividere, ma soprattutto il pastore è lì come testimone della Parola di Dio. Essere pastore significa, nella misura del possibile, nutrire le pecore. Tutto questo nel concreto delle esistenze.

Perché è importante il Sae?

Il Sae è importantissimo perché non solo è la più importante organizzazione ecumenica in Italia e probabilmente in Europa. La dimensione ecumenica è letteralmente il futuro del Cristianesimo. Se il Cristianesimo ha un futuro non può che essere ecumenico. Si tratta di una diversità riconciliata, perché attraverso la storia, i secoli, si sono differenziate varie confessioni, ma l’ecumenismo la riconciliazione delle diversità, non l’annullamento, non l’azzeramento. Bisogna trovare il terreno e le ragioni per dialogare come un’unica famiglia.