Il velo del tempio si squarciò in dueda cima a fondo

Domenica delle Palme. Is 50,4-7; Fil 2,6-11; Mc 14,1-15,47

Tutta la Quaresima, con lo sforzo di penitenza e conversione, oggi si concentra sulla croce come altare dell’obbedienza al Padre e mensa della solidarietà con gli uomini. La sofferenza del Servo è inseparabile dalla gloria. Il riassunto delle Palme è nell’essere preludio alla Pasqua. Gesù entra a Gerusalemme per compire il mistero di morte e risurrezione. La lettura della Passione conta più che la processione dei ramoscelli d’olivo, segno di un popolo che acclama al suo Re e lo riconosce Signore. Ma la regalità si manifesterà in modo sconcertante sulla croce, scandalo di umiliazione, sofferenza e abbandono. In questo scontro la fede traballa perché sembra prevalere l’iniquità, la prepotenza e la cattiveria. Un immenso “perché?” sale sul mondo, da Gesù Crocifisso, e con lui tutti i crocifissi della storia. Dov’è Dio? La nuda fede è capace di trovare, nell’impotenza della croce, l’onnipotente amore di Dio. Gesù non muore perché lo uccidono, ma perché lui si è liberamente consegnato, per amore, unito a tutte le umiliazioni e i rifiuti a dimostrazione che la grandezza non sta nel potere, ma nell’amore che spartisce, che si fa servizio. Dio vince il dolore e la morte non rimuovendoli dal cammino dell’uomo, ma prendendoli su di sé. Il vinto che perdona fa vincere l’amore sull’odio e disarma l’aggressore. Già nella morte di Gesù filtrano le cose nuove: il velo dell’antico tempio si strappa perché il nuovo è il corpo di Cristo ricostruito con la risurrezione; e il primo ad entrare in questo Santuario sarà un pagano, il centurione, che lo ha riconosciuto Figlio di Dio. Sant’Andrea di Creta, vescovo: “Andiamo incontro a Cristo non però per stendere davanti a lui lungo il suo cammino rami d’olivo o di palme, tappeti o altre cose del genere, ma come per stendere in umile prostrazione e in profonda adorazione dinanzi ai suoi piedi le nostre persone. Accogliamo così il Verbo di Dio che si avanza e riceviamo in noi stessi quel Dio che nessun luogo può contenere. Egli, che è la mansuetudine stessa, gode di venire a noi mansueto. Sale, per così dire, sopra il crepuscolo del nostro orgoglio, o meglio entra nell’ombra della nostra infinita bassezza, si fa nostro intimo, diventa uno di noi per sollevarci e ricondurci a sé”. Il racconto della passione nel Vangelo di Marco ci presenta cinque scene: il Getsemani (con la preghiera e l’arresto), il Sinedrio (col giudizio di Gesù e il rinnegamento di Pietro), il Pretorio (il giudizio davanti a Pilato e Gesù in mano ai soldati), il Calvario e, infine, la Sepoltura nel giardino, vicino al luogo della crocifissione. Tutto sembra concluso, ma ci sono due persone che non sono di questo avviso, le due Marie. In questo modo il racconto sembra sospeso, come una battuta di attesa che precede un accordo pieno: la Risurrezione.