Ecco chi è il più grande nel regno dei cieli
XXV domenica t.o. Sap 2,12.17-20; Giac 3,16-4,3; Mc 9,30-37
In questa parte del racconto di Marco si vede bene come tra Gesù e i discepoli ci sia una profonda distanza; i discorsi del Maestro non vengono compresi, o in modo inadeguato. Pietro, dopo aver dichiarato la fede in Gesù, lo rimprovera quando ascolta l’annuncio della passione; i discepoli discutono su chi è il più grande di loro; Giacomo e Giovanni chiedono di avere i posti a fianco di Gesù; i discepoli non riescono a guarire un epilettico, poi scacciano dei bambini che Gesù, invece li addita come condizione per entrare nel Regno. È evidente che la logica di Dio è diversa – altra – dalla nostra. Occorre che Gesù spieghi e faccia comprendere.In casa, Gesù conversa con i discepoli; le sue parole – i “detti di Gesù” – scrivono la regola della nuova comunità che inizia con quel gruppo. Prima viene l’annuncio della passione, poi alcuni contenuti della sequela; la prima non è compresa e Gesù deve sempre tornare a spiegare come alla sua vera umanità (“il Figlio dell’uomo”) è legato il destino di morte e resurrezione (“una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà”). La sua morte è cosa reale. Sembrerebbe una sconfitta, ma la missione di Gesù è feconda: il gruppo di discepoli porterà il messaggio di Cristo, la sua presenza risorta e viva.Gesù si siede nella casa – intimità, delicatezza e calore familiare – e colloquia con i suoi; non li rimprovera, ma insegna la direzione pasquale della vita, il modo nuovo di essere primi. E l’abbraccio al bambino spiega come l’accoglienza di qualunque piccolo sia accettazione di Lui e del Padre.È un grande insegnamento che unisce l’essere primi (come servizio) e l’accoglienza di un bambino. Gesù unisce due profondità: il servizio ci fa primi e dietro un bambino c’è Lui stesso. Essere primi è accettare che Dio si è fatto così piccolo e servo da nascondersi in loro. Noi, che siamo piccoli, desideriamo apparire grandi, aspiriamo ad essere i primi, mentre Dio, che è davvero grande, non teme di abbassarsi e farsi ultimo. Anche il vangelo, oggi come allora, deve essere annunciato e testimoniato sino ai confini della terra. Come è possibile? Il dono di Dio si comunica per strade non comprensibili e forse neppure accettabili umanamente.Al centro del discorso c’è l’idea di Dio. Pensarlo come essere supremo, impassibile, assolutamente lontano e “altro” da noi, è proiettare la nostra spasmodica ricerca del potere. Se già con Israele Dio si è mostrato tutt’altro che impassibile, ma piegato sulle sue vicende, questo si mostra e si compie definitivamente e sorprendentemente nel Figlio suo, Gesù Cristo, nel Crocifisso Risorto. Anche la santità cristiana non è la potenza dell’eroe straordinario, ma l’umiltà e la mitezza di chi si fa piccolo per il Regno, secondo l’immagine eloquente del bambino posto in mezzo e abbracciato. Questo bambino è il segno di Lui, il segno del Padre che lo ha mandato, il segno della piccolezza di Dio, di un crocifisso tra i malfattori. Accoglierlo dice che tutto ciò è dono, offerto e ricevuto. Tutto il resto del Vangelo sarà chiarore e dilatamento di questo.