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Giovani, oltre lo smartphone c’é altro
I ragazzi coinvolti da “The Guardian”, hanno detto, con sorpresa, che durante l’esperimento hanno trovato più tempo per andare in palestra, studiare (e andare meglio a scuola), leggere, dormire qualche ora in più e, in qualche caso, anche per prendere in giro i genitori costantemente chini su smartphone e tablet. Appena terminata la prova, però, sono volati di nuovo sui loro telefoni. Perché? Paura della noia e di essere tagliati fuori dalla vita sociale dei loro coetanei.
Hanno provato a chiedere ad alcuni adolescenti inglesi di fare a meno dei loro smartphone, almeno per un po’ di tempo. Come una sorta di esperimento. Ci sono riusciti e hanno scoperto così come funziona la più pericolosa “arma di distrazione di massa” del mondo, e cioè i social media come Facebook e simili. L’esperimento è stato tentato dai giornalisti di “The Guardian”. Alcuni adolescenti inglesi, di un’età compresa fra i 13 e i 18 anni, hanno reagito con un sorriso e un’alzata di spalle alla strana richiesta. “Perché no?”, hanno detto. I risultati dovrebbero farci riflettere di più. I ragazzi inglesi che possiedono uno smartphone connesso al web sono ormai più del 90 percento. Passano davanti allo schermo dei loro telefonini anche tre ore al giorno e quest’anno, per la prima volta, il tempo volato via sugli smartphone ha superato quello speso a guardare la tv. I dati valgono per i ragazzi inglesi ma le cifre e le percentuali sono simili in molti paesi occidentali, dall’Europa al Nord America.
Henry, sedici anni, parla con i giornalisti di “The Guardian” via Skype. Rimbalza su è giù continuamente su una grande palla di pilates e non si ferma mai, neanche per rispondere. “Dormo con il mio telefono sul cuscino”, dice saltando da una parte all’altra della stanza. Preoccupato per il rischio di tumori? “Oh no!”, dice. Rimbalzo. Rimbalzo. “Voglio dire, ah, se avessi un tumore al cervello, avrei qualcosa da mettere su Twitter”, letteralmente, secondo uno dei tanti neologismi digitali: “to tweet up”. Henry sorride ed è sicuro di sé, racconta Rosie Ifould che per “The Guardian” si occupa anche di psicologia. “Ho il sospetto che pensi che tutta questa attenzione al tempo che lui dedica ai social media sia come fare un sacco di storie per niente, ma è troppo educato per dirlo”, scrive la Ifould.
Nel 2001, lo scrittore americano Marc Prensky inventò il termine “nativo digitale” per descrivere la generazione post-millennio che sarebbe cresciuta in un mondo online. “Il termine è diventato rapidamente una scorciatoia per descrivere l’esperienza dei bambini e degli adolescenti, ma è diventato anche aperto a interpretazioni errate”, dice la Ifould. “Mentre i ragazzi possono capire quali pulsanti premere, questo non significa che siano pronti ad usarli. Il nostro bambino di nove anni ha violato il nostro account Netflix, ma questo non significa che sia emotivamente pronto a guardare qualcosa che è certificato per bambini di oltre 12 anni”, ha detto Emma Cooper, della digital media agency Rocket and The Children’s Media Conference. “I bambini devono essere considerati tale fino a quando raggiungono l’età della maturità, non fino a quando qualcuno mette loro uno smartphone in mano”, dice Beeban Kidron, un regista che nel 2013 ha girato “InRealLife”, un documentario che racconta in che modo Internet colpisce la vita degli adolescenti britannici, dalla pronta disponibilità di pornografia molto (molto) esplicita fino al bullismo on-line. Kidron è uno dei fondatori della campagna “5rights”, che promuove l’idea di tutelare anche nel web i diritti dei bambini che nella vita reale sono tutelati dalla convenzione delle Nazioni Unite. Gli adolescenti coinvolti da “The Guardian”, hanno detto, con sorpresa, che durante l’esperimento hanno trovato più tempo per andare in palestra, studiare (e andare meglio a scuola), leggere, dormire qualche ora in più e, in qualche caso, anche per prendere in giro i genitori costantemente chini su smartphone e tablet. Appena terminato l’esperimento, però, sono volati di nuovo sui loro telefoni. Perché? Paura della noia e di essere tagliati fuori dalla vita sociale dei loro coetanei. Janice Da Costa, l’unica diciottenne dell’esperimento, si è lamentata di aver scoperto “un’importante novità sulle sorelle Kardashian di cui non sapevo nulla fino a quando un mio amico non me l’ha raccontata di persona”. Una piccola sospensione nella frase. “Io in realtà non seguo le Kardashian, ma quando accade qualcosa di speciale mi piace saperlo subito”, ha detto Janice. A proposito, chi sono le Kardashian? Donne molto formose che sono famose per il solo fatto di essere famose (sui social). Una potente “arma di distrazione di massa”, appunto.