Il mio allenatore si chiama Gesù

Sono convinto che viviamo un periodo storico, è questa la mia scommessa, nel quale il linguaggio sportivo può servire veramente ad arrivare a fare apostolato, ad evangelizzare, perché questo è un periodo molto secolarizzato. Sono convinto che viviamo un periodo storico, è questa la mia scommessa, nel quale il linguaggio sportivo può servire veramente ad arrivare a fare apostolato, ad evangelizzare, perché questo è un periodo molto secolarizzato.

Carlo Nesti, giornalista sportivo Rai dal 1980 al 2010, oggi scrive per le Edizioni San Paolo. Nel 2007 ha pubblicato il romanzo “Viaggio di ritorno”, nel 2008 “Il mio psicologo si chiama Gesù”, nel 2010 “Il mio circuito si chiama paradiso” e nel 2012 “Anche la Fede ha il suo alfabeto”. L’ultima fatica è “Il mio Allenatore si chiama Gesù”, uscito da pochi mesi. Nel 2002 ha dato vita al sito Internet NestiChannelhttps://www.carlonesti.it/, una sorta di “oratorio virtuale”, dove discutere di sport e fede. Nei giorni scorsi al Salone del Libro di Torino è stato presentato il suo video monologo – regia di Luciano Somma – “Lo sport di vivere”, in cui Nesti racconta ancora una volta le emozioni della vita e il paradigma dello sport.

Come nasce il suo libro?

Ho scritto questo libro perché le due cose che contano di più nella mia vita sono la fede e lo sport ed, essendo una scrittore delle edizioni San Paolo, ho sempre immaginato di scrivere un libro che fosse alla confluenza di questi due valori. Ciò che non mi era successo con i quattro libri precedenti che erano un romanzo e tre saggi.

“Il mio allenatore si chiama Gesù”. Perché Gesù è il suo allenatore?

Il motivo chiave è stato questo, e ho trovato nell’immagine, nella metafora di Gesù allenatore per le partite di ogni giorno nella nostra vita, un’espressione più congeniale per mettere insieme fede e sport.

L’allenatore Gesù cosa desidera per i suoi atleti?

Gesù è una figura molto complessa, nel senso che la sua parola è molto chiara, ma se dovessimo fare un’analisi comportamentale troveremmo tanti spunti distinti e diversi. Anzitutto è un allenatore estremamente democratico, perché ci concede il libero arbitrio, siamo noi che dobbiamo sceglierlo perché diventi la guida della nostra vita, lui non vuole imporsi a noi. Poi è un allenatore pacifista, perché da sempre nell’immaginario Gesù è colui che, di fronte all’offesa, invita tutti quanti a porgere l’altra guancia; ma è anche vero che è un allenatore passionale, perché è disposto a scaraventare i tavoli dei mercanti del tempio, quando ritiene che il tempio non venga utilizzato per scopi di preghiera perché gli uomini entrino in contatto con il papa, ma per scopi commerciali. Questi due ultimi aspetti possono anche sembrare in contraddizione, ma in realtà fanno parte della natura di Gesù, che ha una parola e una predicazione che non si presta a contrasti. E poi vorrei aggiungere un altro aspetto.

Quale?

Una cosa che mi ha molto colpito nel cercare i tratti del carattere Gesù che potessero essere quelli di un vero e proprio allenatore di una squadra sportiva, calcio, basket o pallavolo che sia, è che egli è un allenatore diplomatico. Mi ha sempre molto colpito una frase di Gesù che è nel Vangelo di Matteo: “Se il tuo fratello pecca, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello”.                Mi colpisce molto, penso a quante volte noi giornalisti parliamo di gestione dello spogliatoio. Supponendo, all’interno di questa metafora, che noi umanità siamo una squadra, Gesù dà una indicazione: nel momento in cui dobbiamo rimproverare un nostro fratello o un nostro simile dobbiamo farlo non in maniera esibizionistica perché tutti vedano, riprendendolo davanti ad altre cento persone e facendolo stare male. Se riteniamo di criticare, fermo restando che non dovremmo mai giudicare nessuno, dovremmo farlo in disparte, perché tutto avvenga nella riservatezza e l’altro non provi imbarazzo. 

Cosa può dare lo sport alla fede?

Gesù allenatore lo è non soltanto a livello metaforico, ma anche esistenziale, perché molti valori dello sport sono assolutamente affini alla fede cristiana. Il rispetto per l’avversario non è altro che il rispetto del prossimo, capire che l’avversario non è un nemico, il rispetto delle regole e dell’arbitro equivale al rispetto della legge. Se il bambino che comincia a praticare sport si rende conto che ci sono limitazioni, che non può fare tutto quello che vuole, si abitua a seguire delle regole nella vita di tutti i giorni, che poi gli saranno utili per quando sarà cittadino. Poi c’è lo spirito di squadra, che equivale al piacere della condivisione, che devono avere i cristiani nel momento in cui pregano o vanno a messa o fanno qualcosa per Gesù.

Oggi abbiamo un Papa sportivo, che ci parla, anche metaforicamente di “vittorie pulite”. Quanto questo può aiutare?

La risposta è nelle prime righe del libro, quando io dedico a Papa Francesco e San Giovanni Bosco “Il mio allenatore si chiama Gesù”. Con questo credo di aver dimostrato quanto ci tenessi a questa dedica perché il Papa è uno sportivo, appassionato di calcio, un tifoso del San Lorenzo. Poi l’ho voluto dedicare a San Giovanni Bosco, perché ha voluto utilizzare gli oratori, come mediatori, per avvicinare i giovani alla fede. Il Papa spesso ha utilizzato una metafora sportiva, io ricordo la GMG in Brasile quando ha detto “voi dovete lottare e giocare per vincere una coppa del mondo che è molto superiore a quella del calcio, e con questa intendeva la felicità eterna, il paradiso, per il quale dobbiamo allenarci mettendo in pratica la Parola di Gesù”.

Quella dello sport è una metafora efficace?

Sono convinto che viviamo un periodo storico, è questa la mia scommessa, nel quale il linguaggio sportivo può servire veramente ad arrivare a fare apostolato, ad evangelizzare, perché questo è un periodo molto secolarizzato. I giovani, rispetto a quegli degli anni ’70, non sono più impegnati, non hanno più legame con l’ideologia e la politica, una volta a 17 – 18 anni già si poteva essere militanti politici, non avevano quel vuoto mentale, dell’anima, che invece c’è in tanti ragazzi di oggi. Chi vorrebbe trovare un riferimento non sa a chi rivolgersi, perché purtroppo il mondo della politica non offre dei riferimenti certi, allora da una parte ci si butta verso il mondo dello spettacolo e dello sport. C’è uno spazio da riempire e credo che questo sia un nuovo modo di evangelizzare che passa per i valori dello sport. In questo devo dire che la scuola italiana non ci aiuta, noi siamo l’ultimo paese per ore d’educazione fisica, tante scuole non hanno impianti. C’è una grande mancanza di cultura sportiva nel nostro Paese, quindi è difficile trasmettere quei valori che sono importantissimi a livello educativo.

Fabio Mandato