San Policarpo, maestro e profeta

Fu delegato dalla Chiesa d’Asia di concordare la data per la celebrazione della Pasqua

Policarpo nacque verso la fine del I sce. d. C. da genitori cristiani e fu designato giovanissimo dagli stessi apostoli vescovo di Smirne (Izmir in Turchia sul mare Egeo) nell’Asia Minore verso il 115. Egli godette stima e alta venerazione nella Chiesa per questo contatto con gli apostoli ed aver conservato integralmente i loro insegnamenti, tanto da essere definito “maestro” (didàskalos) perché  tale dottrina gli derivava dagli apostoli, e “profeta” perché godeva nella Chiesa del dono della profezia. Nel 154 venne delegato dalla Chiesa d’Asia presso Papa Aniceto, vescovo di Roma, per discutere su questioni ecclesiastiche. Una delle argomentazioni era da concordare la data della celebrazione della Pasqua. Le comunità cristiane dell’Asia celebravano l’evento pasquale il 14 di Nisan secondo la tradizione giudaica (quartodecimano). Tale tradizione era sostenuta da Policarpo che ancor di più si rifaceva all’autorità di San Giovanni e degli Apostoli; mentre Roma fissava la data alla domenica successiva al primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera. Aniceto e Policarpo restarono fermi ognuno nella propria tradizione senza trovare una soluzione, anche se i due restarono in comunione. Infatti il vescovo Aniceto alla fine concesse a Policarpo di presiedere l’Eucaristia e si concedarono in pace. Durante il soggiorno a Roma Policarpo incontrò e convertì molti eretici, tra questi i discepoli degli gnostici Marcione e Valentiniano, convincendoli ad accogliere l’unica verità  posseduta dalla Chiesa e trasmessa dagli Apostoli. Infatti a Roma Policarpo incontrò Marcione, vescovo eretico gnostico, il quale chiese a Policarpo se lo riconoscesse. Policarpo rispose:«Io ti riconosco come il primogenito di Satana». Ritornato nella sede di Smirne, Policarpo subì il martirio il 23 febbraio del 155. Egli scrisse molte lettere di carattere pastorale ed esortativo rivolte alle chiese vicine a Smirne, delle quali ne resta una indirizzata ai Filippesi. Sono lettere dense di fede e di insegnamento dottrinale rivolte a cristiani di ogni ceto sociale, dove veniamo a conoscere la cura per i sofferenti e i peccatori sviati dalla Chiesa; l’invito ad imitare Cristo ed essere fedeli al Vangelo; la fede nella divinità di Gesù Cristo e nella sua vera umanità, la morte e la risurrezione contro gli eretici doceti e marcioniti: «Chiunque, infatti, non confessa che Gesù Cristo è venuto nella carne, è un anticristo, e colui che non confessa la testimonianza della croce appartiene al diavolo, e colui che distorce i detti del Signore secondo i propri desideri, e nega la risurrezione e il giudizio, è il primogenito di satana». Ancora segue la lettera ai Filippesi dove Policarpo raccomanda ai fedeli di praticare l’elemosina perché libera dalla morte: «Quando potete fare il bene, non rimandatelo, perché l’elemosina libera dalla morte. Siate tutti sottomessi gli uni agli altri, mantenendo una condotta irreprensibile in mezzo ai pagani, affinché le vostre buone opere vi attirino la lode, e il Signore non sia bestemmiato per causa vostra». Interessante l’esortazione a pregare per lo Stato e a sostenere con pubbliche preghiere le autorità civili:«Pregate anche per i re, per i magistrati e i principi, e per coloro che vi persegutano e vi odiano, e per i nemici della croce; così il frutto che portate sarà visibile a tutti, e voi sarete in esso perfetti». Su questo illustre personaggio della Chiesa apostolica abbiamo diverse testimonianze. Ne parla Ignazio di Antiochia in una delle sue sette lettere indirizzata allo stesso Policarpo, dove lo ringrazia con la comunità degli Smirnesi per l’accoglienza e l’ospitalità riservatagli durante il suo viaggio verso Roma prima di subire il martirio. Sempre in questo testo Ignazio raccomanda a Policarpo di scrivere alla sua comunità di Antiochia e di visitarla appena termina la persecuzione per incoraggiare i fedeli ad essere perseveranti nella fede del Signore Gesù Cristo. Anche Ireneo di Lione lo menziona nella sua opera, Adversus Haereses, contro gli eretici gnostici per dimostrare la successione apostolica e la tradizione vivente trasmessa dagli stessi Apostoli. Ancora viene menzionato da Eusebio di Cesarea nella sua imponente opera, La Storia Ecclesiastica e nel Martirio di Policarpo. Quest’ultima è una lettera della Chiesa di Smirne inviata alla comunità cristiana di Filomelio nella Frigia. Si tratta di una testimonianza importante del martirio eroico di Policarpo perché viene riportato in modo dettagliato e particolare la sua morte. È un primo documento di carattere epistolare sul martirio anche se non rientra nel genere degli atti dei martiri. La lettera fu redatta dopo la sua morte da parte di Marcione, membro della comunità di Smirne, nella quale traspare la personalità e la santità di Policarpo. In questo scritto è forte il concetto di martire che imita Cristo nella passione e nella morte, e inoltre vi è la descrizione del processo e della condanna di Policarpo. Durante l’interrogatorio il proconsole Stazio Quadrato gli ordinò di rinnegare Cristo: «Presta giuramento e ti libero, maledici il Cristo!», e Policarpo rispose: «Sono ottantasei anni che lo servo, e non mi ha mai fatto alcun male. Come potrei bestemmiare il mio re e il mio Salvatore?». Alla fine egli venne condannato al rogo. Ritto ad una trave di legno con le mani legato di dietro e prima che appiccassero il fuoco, Policarpo volgendo lo sguardo al cielo proferì questa preghiera: «Signore, Dio onnipotente Padre di Gesù Cristo tuo amato e benedetto Figlio, per il cui mezzo abbiamo ricevuto la tua conoscenza, o Dio degli angeli e delle potenze di ogni creazione e di ogni genia dei giusti che vivono alla tua presenza. Io ti benedico perché mi hai reso degno di questo giorno e di questa ora di prendere parte nel numero dei martiri al calice del tuo Cristo per la risurrezione alla vita eterna dell’anima e del corpo nella incorruttibilità dello Spirito Santo. In mezzo a loro possa io essere accolto al tuo cospetto in sacrificio pingue e gradito come prima l’avevi preparato, manifestato e realizzato, Dio senza menzogna e veritiero. Per questo e per tutte le altre cose ti lodo, ti benedico e ti glorifico per mezzo dell’eterno e celeste gran sacerdote Gesù Cristo tuo amato Figlio, per il quale sia gloria a te con lui e lo Spirito Santo ora e nei secoli futuri. Amen». Terminata la preghiera venne eseguita la condanna secondo questa celebre descrizione riportata sempre nella lettera: «Appena ebbe alzato il suo Amen e terminato la preghiera, gli uomini della pira appiccarono il fuoco. La fiamma divampò grande. Vedemmo un prodigio e a noi fu concesso di vederlo. Siamo sopravvissuti per narrare agli altri questi avvenimenti. Il fuoco, facendo una specie di voluta, come vela di nave gonfiata dal vento, girò intorno al corpo del martire. Egli stava in mezzo, non come carne che brucia ma come pane che cuoce, o come oro e argento che brilla nella fornace. E noi ricevemmo un profumo come di incenso che si alzava, o di altri aromi preziosi. Alla fine gli empi, vedendo che il corpo di lui non veniva consumato dal fuoco, ordinarono al confector di avvicinarsi e di finirlo con un pugnale. E fatto questo, zampillò molto sangue che spense il fuoco. Tutta la folla rimase meravigliata della grande differenza tra gli infedeli e gli eletti. Tra questi fu il meraviglioso martire Policarpo, vescovo della Chiesa cattolica di Smirne, divenuto ai nostri giorni un maestro apostolico e profetico. Ogni parola che uscì dalla sua bocca si è compiuta e si compirà».