Un maestro del monachesimo
Un excursus sulla vita di San Nilo da Rossano fatta di studio, contemplazione e carità
A partire dal 2011 e fino allo scorso anno il settimanale Parola di Vita si è occupato di presentare numerose figure di santi e beati italiani e stranieri che con il loro carisma e le loro virtù hanno lasciato una forte impronta nella vita della Chiesa: vogliamo riprendere a parlare di queste gloriose figure continuando a presentarne altre, in particolare concentrandoci su quelle calabresi. La nostra regione, infatti, ha una storia bimillenaria di vita di santità e in tempi così difficili accendere una luce su questi uomini e donne può essere uno stimolo per un rilancio sociale e spirituale non indifferente. Vogliamo riprendere questo percorso dalla figura di Nilo da Rossano. L’Italia meridionale conosce i monaci d’Oriente con la loro liturgia al tempo del dominio bizantino. Poi l’espansione araba (che si estende alla Sicilia) ve ne spinge altri: la Calabria, in particolare, si popola di comunità guidate dalla regola di san Basilio, che attirano anche discepoli del posto. Come appunto questo calabrese di Rossano, di nome Nicola. Nacque circa l’anno 910 in Rossano, la cui provincia in quei tempi era soggetta agl’imperatori greci di Costantinopoli. “Fu allevato nella pietà e nelle lettere con molta diligenza, e si applicò in modo particolare alla lezione delle divine scritture e delle opere de’ santi padri”. Questo è l’incipit della vita del santo tratto da “Il perfetto leggendario ovvero le vite dei santi per ogni giorno dell’anno” di Romualdo Gentilucci edito a Roma nel 1841. Secondo lo storico Lenormant Nicola si sposò prima di intraprendere la vita da monaco, affascinato dalla bellezza di una ragazza di più umili origini; ebbe una figlia, ma il matrimonio non durò molto. Fece in modo che moglie e figlia non avessero problemi economici e quindi si ritirò lungo il corso del fiume Lao nei pressi dell’odierna Orsomarso. Qui fu allievo di San Fantino e si dedicò alla vita contemplativa e alla carità; pronunciò i voti nel convento di San Basilio. Cominciò la sua attività a San Demetrio Corone, fondando un monastero basiliano. Dimorò in questo territorio per venticinque anni. Si dedicò alla lettura dei Padri della Chiesa, compose inni, trascrisse testi con grafia rapida ed elegante. Indossando magari per un anno intero lo stesso abito, riempiendosi di pulci… Non cerca discepoli, ma questi arrivano. Diventa maestro di nuovi monaci presso Rossano, con un metodo duramente selettivo, perché non vuole gente qualunque. Fu molto presente nella sua città di origine; si narra infatti che nel 965 la popolazione di Rossano insorse contro lo stratega Niceforo Hexakionites che voleva arruolare i giovani rossanesi su navi bizantine. Quando la rivolta fu domata per l’intervento dell’esercito, Niceforo voleva colpire la città con una punizione esemplare ordinandone la distruzione. Il prestigio e l’autorità morale di San Nilo convinse lo stratega a desistere dal suo proposito. Il 970 è l’anno del devastante terremoto che seminò morte e distruzione a Rossano e qui Nilo sentì l’esigenza di portare conforto alla sua gente. Gli imperatori di Oriente Basilio II e Romano II lo pregarono di recarsi a Costantinopoli con la segreta intenzione di innalzarlo a quella sede patriarcale; come anche Rossano voleva eleggerlo vescovo, ma egli sempre rifiutò, trasferendosi prima a Capua, poi a Gaeta. Il suo discepolo e biografo, Bartolomeo, narra che nel 998 Nilo corre a Roma per salvare Giovanni Filagato, suo conterraneo, fatto antipapa dal nobile romano Crescenzio e suo complice nella rivolta contro il papa Gregorio V e l’imperatore Ottone III suo cugino. La rappresaglia di Ottone è degna della ferocia dei tempi. Uccisi Crescenzio e i suoi, su Filagato si infierisce con atroci sevizie. Si narra “che … le preghiere del santo non trovarono ascolto. Nilo lasciò Roma. Ma prima profetizzò all’imperatore e al papa che la maledizione del cielo prima o poi avrebbe colpito i loro cuori crudeli”. Gregorio V muore dopo un anno, Ottone III dopo quattro. Qui vede finire il primo Millennio cristiano. E di qui parte, novantenne, per dare vita a un’altra fondazione: l’abbazia di Grottaferrata presso Roma, centro vivo di operosità ecumenica. Lui però fa solo in tempo a indicarne il luogo e a ottenere il terreno, presso la cappella detta Cryptoferrata. Poi si spegne nel vicino monastero greco di Sant’Agata la sera del 25 settembre 1004.