Attualità
Per i piccoli ebrei la memoria si intreccia con le ansie di oggi
Sara Cividalli, presidente della Comunità ebraica di Firenze, di professione pediatra, racconta "dal di dentro" i timori e le speranze. Sottolinea il peso dell’informazione, soprattutto televisiva e ribadisce: "Dipende moltissimo dalle famiglie. L’importante è che l’informazione che si dà, sia sempre veritiera ma adatta all’età e in modo che si possa integrare nel tempo. Non si possono raccontare bugie".
“Davanti al nostro tempio c’è un grande cancello. Fino al 1982 quel cancello era aperto. Tutti potevano entrare. Per motivi di sicurezza è stato chiuso. Il mio sogno è che un giorno quel cancello si riapra e noi si possa vivere, tutti, in un mondo in cui non ci sono né telecamere di sorveglianza né soldati”. È il “sogno” di Sara Cividalli, presidente della Comunità ebraica di Firenze. È lei ad “aprire” al Sir le porte della comunità e a spiegare come “dal di dentro” i bambini e i ragazzi ebrei vivono e convivono con la pressione della radicalizzazione e del terrorismo. Nei locali della comunità c’è una scuola materna mentre i ragazzi più grandi frequentano il mercoledì i corsi di educazione ebraica. Madre di una figlia di 25 anni, Cividalli è pediatra e con i ragazzi ha sempre avuto a che fare.
C’è paura?
“Chiaramente c’è una maggiore preoccupazione. Non possiamo negarlo: siamo consapevoli di quello che è successo in Francia e a Copenaghen. Dire però che si avverte il rischio con paura, no. Qui non è cambiata l’atmosfera fiorentina. È chiaro che si attuano norme di sicurezza”.
Ma sono aggiuntive rispetto al passato?
“Sì, ma in linea con quanto si sta facendo in Europa. D’altronde, sono le stesse questure e prefetture che attuano e richiedono una maggiore attenzione per tutelare la città e non soltanto il mondo ebraico, perché un attentato qui è un attentato a Firenze”.
I bambini si accorgono di queste norme di sicurezze aggiuntive?
“Diciamo subito che sono abbastanza abituati. Da tantissimi anni l’esercito è presente nella garitta per cui i nostri bambini vedono i militari da quando sono nati. Ultimamente, abbiamo visto un ragazzino più grande manifestare una certa preoccupazione perché aveva visto delle immagini brutte alla tv. E allora abbiamo pensato di invitare il tenente dell’esercito per spiegare cosa fanno, come funzionano le videocamere allestite nella comunità e come sono collegate alla centrale. Il tenente è stato bravissimo. I ragazzi erano molto interessati. Hanno fatto un sacco di domande. E il ragazzo che aveva espresso preoccupazione si è sentito rassicurato”.
Il popolo ebraico ha conosciuto la Shoah. Sembra una tragica storia che ritorna.
“Intanto si deve dire che non possiamo paragonare il mondo di oggi al mondo della Shoah. La Shoah è un qualcosa che non può essere paragonato a nulla. Anche perché in quel momento, la cosa terribile era che i genitori non potevano proteggere i loro figli. Non c’era modo di proteggerli”.
E tutto questo oggi come viene raccontato?
“Dipende moltissimo dalle famiglie. L’importante è che l’informazione che si dà, sia sempre veritiera ma adatta all’età e in modo che si possa integrare nel tempo. Non si possono raccontare bugie però si può cominciare con il raccontare di un mondo in cui a causa delle leggi razziali non si poteva andare a scuola, avere amici con cui giocare, far parte di una squadra di calcio. Sono racconti che hanno un grosso impatto sui ragazzi”.
Come cresce un bambino che sa che in un recente passato, il suo essere ebreo era motivo di “eliminazione” e che oggi è sotto protezione? Si chiede: perché io?
“Sì, ma è una domanda a cui non sappiamo rispondere. Ce lo chiediamo e continueremo a chiedercelo sempre. E ai bambini possiamo solo parlare di gente vittima di pregiudizi. Il razzismo nasce sempre dal pregiudizio: si dice che gli ebrei sono ricchi, che detengono il potere, che tolgono il lavoro agli altri. E questi pregiudizi fanno presa soprattutto su giovani che vivono in un ambiente disagiato, che magari non hanno mai incontrato persone che gli spiegano che non è così, che non è colpendo gli altri che possono avere un riscatto nella propria vita”.
Non è facile convivere con il pregiudizio. Come reagiscono i ragazzi ebrei? Non sono tentati di allontanarsi dalla comunità?
“I ragazzi in genere non hanno mai il desiderio di fuggire. È chiaro comunque che noi dobbiamo continuare a vivere, che noi ci siamo e che le nostre radici e le nostre tradizioni devono essere mantenute. Certo, dovremo avere maggiori accorgimenti ma questo non ci deve cancellare in nessun modo”.
Come se li immagina questi piccoli uomini e donne del futuro?
“Li sogno fiduciosi nell’altro. Li sogno radicati nelle proprie radici ma spazianti in un mondo che ha un orizzonte ampio in cui c’è spazio per tutti e rispetto per l’altro, chiunque esso sia. Li sogno pronti ad aprire le porte di casa, soprattutto a chi ha bisogno. Li sogno responsabili verso il mondo intero. Noi insegniamo e cerchiamo di trasmettere ai nostri figli che la diversità è un dono e il vivere insieme può essere solo fonte di ricchezza. Come ha detto un imam di Trento ad una recente conferenza a cui sono stata: ‘Se il signore avesse voluto fare un solo popolo, ne avrebbe fatto uno”.