Italiani più vecchi? Il sistema sanitario trema per la spesa

Walter Ricciardi, direttore del Dipartimento di sanità pubblica del Policlinico "Agostino Gemelli" di Roma spiega le "urgenze": investimenti in prevenzione; migliore e più capillare informazione ai cittadini su salute, servizi, centri d'eccellenza; riorganizzazione dei servizi da parte delle Regioni. In futuro spetterà a loro definire i livelli essenziali e uniformi di assistenza

Fare fronte a sfide sempre più impegnative con risorse sempre più limitate: è il paradosso del Sistema sanitario nazionale (Ssn), realtà a macchia di leopardo con forti disuguaglianze tra regioni, in particolare nord e sud. Dal 2010 al 2013 la spesa sanitaria pubblica è passata da 112,5 miliardi a 109,3, ma poiché il governo dovrà entro fine anno trovare 16 miliardi per scongiurare le clausole di salvaguardia inserite nella legge di stabilità, non è difficile immaginare che tra i capitoli di spesa nel mirino dei tagli possa esservi ancora una volta anche la sanità. Eppure, la sfida di una sanità più efficiente e sostenibile non è impossibile, a condizione che tutti – Stato e Regioni – facciano la propria parte, sostiene Walter Ricciardi, direttore del Dipartimento di sanità pubblica del Policlinico “Agostino Gemelli” di Roma. Tre, spiega, le “urgenze”: investimenti in prevenzione; migliore e più capillare informazione ai cittadini su salute, servizi, centri d’eccellenza; riorganizzazione dei servizi da parte delle Regioni che “devono smettere di temporeggiare” e alle quali sarà delegata sempre più la gestione del Ssn. In prospettiva, saranno infatti le Regioni a definire i livelli essenziali ed uniformi di assistenza, mentre rimarranno “a livello centrale” il raccordo e l’armonizzazione del complesso delle funzioni e delle attività.

Incertezza e precarietà. In questo orizzonte è stato presentato al “Gemelli” il Rapporto Osservasalute 2014, analisi dello stato di salute della popolazione e della qualità dell‘assistenza sanitaria nelle Regioni italiane, curato dall’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane. “Siamo entrati in una nuova fase strutturale – ha avvertito Ricciardi -, nella quale incertezza e precarietà non saranno condizioni eccezionali, ma la consuetudine”. A preoccupare Ricciardi non è solo “lo scenario che si prospetta per la sanità”, ma anche l’aumento dell’incidenza di alcune patologie tumorali prevenibili, primo fra tutti il boom del cancro al polmone nella popolazione femminile, + 17,7% tra il 2003 e il 2013, legato soprattutto al fumo di sigaretta, ma pure il + 10,5% di tumore alla mammella e, tra gli uomini, l‘incidenza del tumore al colon retto (+ 6,5% ). Inadeguati, sottolinea, gli investimenti destinati alla prevenzione, preoccupante anche l’aumento della cronicità legata all’invecchiamento della popolazione. Oltre un italiano su 5 ha infatti più di 65 anni, dal 2002 al 2012 la speranza di vita è passata, per gli uomini, da 77,2 a 79,6 anni, per le donne, da 83,0 a 84,4, mentre sono più di 16mila gli ultracentenari (regione più “anziana” la Liguria, più “giovane” la Campania). Diminuito il tasso di mortalità infantile: nel 2011 pari a 3,1 morti per 1.000 nati vivi, in calo rispetto al 2006 (3,4), ma in Sicilia è addirittura di 4,59 per 1.000 nuovi nati. Disuguaglianze territoriali che stridono, e non solo in questo ambito. “Abbiamo regioni in cui metà degli anziani rinunciano alle cure perché non possono permettersi di bypassare le liste d’attesa – conclude Ricciardi -. La salute è un investimento: le risorse destinate a salute e sanità sono un elemento di sostenibilità per il futuro”. 

“Secondo welfare”. Per Alessandro Solipaca, segretario scientifico dell’Osservatorio, “i modelli di previsione della Ragioneria generale dello Stato testimoniano che l’invecchiamento della popolazione comporterà un aumento di spesa sanitaria”, la cui quota in rapporto al Pil raggiungerà “il 7,5% nel 2035, superiore di mezzo punto a quella odierna attestata al 7,0% (contro la media Ue dell’’8,7% del Pil, ndr)”. A questo si aggiunge, continua il segretario dell’Osservatorio, il fatto che “l’invecchiamento acuirà il problema della spesa per l’assistenza agli anziani” che oggi grava in buona parte sulle famiglie. La dinamica demografica in corso disegna strutture familiari con uno o due componenti e con molti anziani soli, una “disgregazione” che obbligherà il sistema di welfare a “intervenire con nuove risorse e soluzioni innovative economicamente sostenibili”. A sollevare questioni come il “negazionismo scientifico”, la scarsa cultura delle vaccinazioni, la bassa risposta (50%) dei cittadini ai programmi di prevenzione del governo, l’alto numero di prenotazioni di prestazioni non salvavita, “poi non effettuate per l’impossibilità di pagare il ticket”, l’aumento del consumo di antidepressivi e dei “suicidi legati a difficoltà economiche soprattutto nelle persone anziane di sesso maschile”, è stata Roberta Siliquini, ordinario di igiene all’Università di Torino. Dal confronto odierno esce anche l’indicazione di iniziare a ragionare su alcune proposte, emerse già da qualche anno, che prospettano, sulla scorta di esperienze europee dei welfare-mix, una sorta di “secondo welfare” basato su sistemi sostenuti con incentivi pubblici, in grado di intrecciare in modo virtuoso l’iniziativa privata e quella di natura associativa.