Corsa all’atomica nel Golfo Persico. Ora l’Arabia Saudita

L’ipotesi, avvalorata da fonti dell’intelligence è che i sauditi acquistino dai pachistani un ordigno atomico per contrastare l’ascesa nucleare dell’Iran sciita. Riccardo Redaelli, dell’università Cattolica del S. Cuore di Milano: "In tutto il Medio Oriente, oramai da tempo, vi è una forte spinta verso la proliferazione nucleare". Ma la deterrenza richiede ben altro sul piano tecnologico.

La possibilità di un’intesa entro il 30 giugno sul programma nucleare iraniano sembra aver dato il via alla corsa all’atomica nel Golfo Persico. Secondo quanto riferiscono fonti dell’intelligence Usa, riportate da media americani e britannici, l’Arabia Saudita, culla del wahabismo, l’interpretazione più rigida dell’Islam sunnita, dopo molti tentennamenti, avrebbe rotto gli indugi e si appresterebbe ad acquistare dal Pakistan, Paese sunnita, un ordigno atomico già pronto, per contrastare quella che a Riad, e nelle “petromonarchie” sunnite del Golfo, ma anche in Israele, percepiscono come la principale minaccia alla loro sopravvivenza: l’Iran sciita potenza atomica. Con l’acquisto, Riad riscuoterebbe il credito che vanta con Islamabad per gli investimenti di miliardi di dollari, risalenti agli anni ‘70, per finanziare il programma nucleare pakistano, nato a sua volta per contrastare l’atomica indiana. Nel vertice della scorsa settimana, a Camp David, con i Paesi arabi del Golfo, il presidente Usa, Barack Obama, non sembra essere riuscito a persuadere l’Arabia Saudita sulla sua capacità di impedire all’Iran di dotarsi di armi nucleari, né di reagire con prontezza nel caso in cui questo dovesse riuscire a dotarsi dell’atomica. Obama ha ribadito ai rappresentanti dell’Arabia Saudita, il principe della corona, Mohammed bin Nayef, e il suo vice, Mohammed bin Salman, la necessità di arrivare a un accordo con Teheran sul nucleare. “Prevenendo un Iran con le armi nucleari – sono state le parole di Obama – rimuoviamo una delle più grandi minacce alla sicurezza regionale”. Parole che alla luce delle notizie riportate dai media non sembrano aver convinto la casa reale saudita. La scorciatoia saudita. “La volontà dell’Arabia Saudita di trovare una “short cut”, una scorciatoia per arrivare ad avere armi di distruzione di massa era nota da tempo – commenta Riccardo Redaelli, ordinario di Geopolitica e di Storia e istituzioni dell’Asia presso la Facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’università Cattolica del S. Cuore di Milano – ed è il frutto dell’ossessione dell’Arabia sunnita nei confronti dell’Iran sciita. In tutto il Medio Oriente, oramai da tempo, vi è una forte spinta verso la proliferazione nucleare”. “Se ciò accadesse – sottolinea l’esperto – sarebbe il primo caso di vendita diretta di armi nucleari, illegale in quanto non rispetterebbe i trattati di non proliferazione dando il via libera alla corsa all’atomica in tutto il Medio Oriente. La comunità internazionale dovrebbe, a quel punto, reagire pesantemente”. Redaelli, tuttavia, nutre dubbi sul fatto che il Pakistan possa aderire alla richiesta dell’Arabia Saudita: “Islamabad non può permettersi una mossa del genere. È un Paese che dipende non solo dall’Arabia ma anche, e molto, dal Fondo monetario internazionale e dagli aiuti economici e militari degli Usa. Obama non consentirà l’acquisto anche perché crescono i dubbi sugli obiettivi dell’Arabia Saudita sempre più invischiata con l’estremismo sunnita in Medio Oriente”. “Comprarsi un’atomica non basta – aggiunge Redaelli – occorre avere anche tutta una struttura che ne permetta l’utilizzo come i vettori di lancio, siti di stoccaggio, una catena di controllo dei lanci, chiavi elettroniche. Cose che non si possono avere in poco tempo. I sauditi, che hanno denaro ma difettano di strategia, sembrano non capire che un conto è avere un’atomica, un conto è avere la deterrenza nucleare che non si fa acquistando ordigni già pronti”. A spingere contro l’atomica saudita anche il fatto che “un simile acquisto porterebbe l’Iran a stracciare” il possibile accordo sul nucleare che per Redaelli è “un fatto di portata storica, epocale”. “La firma ci sarà, tuttavia – avverte il docente – questa non significherà la soluzione dei problemi che sono ancora legati al timing, ancora in alto mare, della rimozione delle sanzioni. Dentro l’accordo – conclude – ci sono possibilità di boicottaggio sia da parte iraniana sia da parte del Congresso americano che, in modo quasi paranoico, è ostile all’Iran. Presto, quindi, per dire se dopo la firma, l’accordo verrà effettivamente implementato”.