«Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,21)

Commento al Vangelo di Domenica 26 Gennaio 2025 (III Domenica del Tempo Ordinario o della Parola di Dio) a cura di Suor Nicoletta Gatti (missionaria in Ghana)

La liturgia di oggi ci invita ad entrare in dialogo con la Parola: una Parola che infonde coraggio nei giorni difficili della ricostruzione (Ne 8,2-10); una Parola “solida” su cui costruire un cammino di sequela (Lc 1,1-4); una Parola che «oggi» si compie anche per noi (Lc 4,14-21); una Parola incarnata che plasma la nostra meravigliosa diversità in un solo corpo, il Corpo di Cristo (1Cor 12,12-30). È un Corpo vivo, operante nella storia, prolungamento dell’umanità di Colui che continua «a portare ai poveri un lieto annunzio, a proclamare ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19).

Luca narra l’inizio della missione di Gesù nella sinagoga del proprio paese, durante una liturgia della parola. Gli è chiesto di leggere un brano tratto dall’ultima parte del libro di Isaia (61,1-2) che racconta l’esperienza della ricostruzione dopo l’esilio babilonese. Se la prigionia aveva reso Israele non-popolo, privandolo della terra e della dignità, il travaglio del ritorno genera un popolo nuovo che ritrova con fatica una relazione con se stesso e con il suo Signore. Gesù termina la lettura e rivela che ora, nella sua persona, questa parola si compie. Egli è, infatti, il profeta inviato ad evangelizzare, fasciare le piaghe, consolare, liberare e proclamare l’anno di grazia di Dio.

Notiamo che Luca modifica il testo anticotestamentario. Elimina l’espressione «il giorno di vendetta del nostro Dio» (Is 61,2b) e inserisce un frammento tratto da Is 58,6: «rimandare liberi gli oppressi». Il lavorio editoriale dell’evangelista genera una comprensione diversa della missione del Cristo. Contraddicendo la predicazione del Battista, Gesù non si identifica con la scure pronta ad abbattere l’empio e con il fuoco venuto a distruggere il peccatore (3,7-9); egli è il Messia inviato a sciogliere le catene dei prigionieri perché escano dal buio delle celle e accolgano il dono della salvezza, «l’anno di grazia del Signore».

L’anno di grazia segna nella tradizione di Israele il ritorno alla situazione originale, in cui la terra fu donata equamente da Dio ad ogni famiglia perché ognuno potesse vivere con dignità e libertà del proprio lavoro. La presenza dei poveri, dei senza terra, di chi è costretto a vendere se stesso per sopravvivere è frutto di violenza e di ingiustizia sociale, indice di una società malata, chiusa nel circolo vizioso del possesso. L’anno giubilare è anno di liberazione da ogni forma di schiavitù, perché i beni della terra possano essere condivisi nella solidarietà e ciascuno possa riappropriarsi della propria identità.

Luca ci assicura che tutto ciò si compie «oggi». Questa parola risuonerà continuamente nel suo racconto: oggi la salvezza è entrata nella casa di Zaccheo (cfr 19,9); oggi all’uomo crocifisso con Gesù è promesso l’ingresso nel regno (cfr. 23,43) oggi… perché lo scorrere senza meta del tempo è spezzato dall’incontro con Cristo che dona salvezza e crea una realtà nuova, inattesa, totalmente gratuita. Il cammino umano di Gesù, da Nazareth fino al Calvario, sarà vissuto nella fedeltà totale a questo progetto, sarà una proclamazione senza sosta dell’irrompere del Regno di Dio nella storia umana.

In quest’anno di grazia, anno giubilare, sperimento la liberazione scaturita dall’incontro con la Parola? Testimonio questa speranza in un cammino di denuncia del male e costruzione del Regno?