Attualità
Cari ricercatori, siate prudenti
Spermatozoi in vitro
Un altro annuncio eclatante agita le acque della ricerca scientifica, questa volta nell’ambito dei rimedi all’infertilità maschile. In uno scenario del tutto “insolito” (una conferenza stampa, anziché la pubblicazione su una rivista scientifica accreditata), un gruppo di ricercatori di Lione afferma di aver ottenuto in laboratorio spermatozoi umani maturi a partire dal tessuto testicolare di un uomo sterile.Il team di scienziati fa parte dell’azienda Kallistem, una start up privata, nata però all’interno della prestigiosa (e pubblica) Ecole Normale Supérieure di Lione e che opera in stretta collaborazione con il Cnrs (equivalente francese dell’italiano Cnr) della stessa città.Il sensazionale annuncio giunge a conferma di uno scarno comunicato che la stessa Kallistem aveva già diffuso all’inizio dello scorso maggio, comunicando di aver quasi completato il processo di produzione degli spermatozoi umani in vitro.Se i risultati della ricerca saranno “validati” dalla scienza ufficiale, la nuova tecnica consentirebbe – ma solo in una bassa percentuale di casi – ad un uomo sterile di poter diventare padre, tramite la fecondazione assistita, senza dover ricorrere al seme di un “donatore”. Il condizionale è d’obbligo, visto che la descrizione dettagliata del complicato processo (pare che richieda circa 72 giorni) per indurre la maturazione delle cellule spermatiche non è stata ancora pubblicata e diffusa su alcuna rivista accreditata, per il vaglio della comunità scientifica internazionale. E in verità, i dubbi e gli interrogativi su questo risultato eclatante non mancano. Anzi, sono doverosi, dal momento che stiamo parlando di cellule “particolari” (i gameti), deputate alla generazione di nuove vite umane. Saranno in grado questi spermatozoi “in vitro” di assolvere in maniera sana e corretta alla loro funzione specifica? Potrebbero essere veicolo di aberrazioni genetiche? “L’unico modo per saperlo – dirà qualche addetto ai lavori – è provare ad usarli per vedere in concreto cosa accade”. Ma questo può valere per le cavie da laboratorio (e a determinate condizioni etiche di tutela), non certo per gli esseri umani.Sarebbe forse meglio, allora, che i ricercatori coinvolti adottassero un surplus di saggezza e di prudenza, continuando il loro studio ed approfondendo la loro ricerca, ma senza esporre gli esseri umani (anche allo stadio embrionale) a sperimentazioni inutili e rischiose. Lo richiede quel sacrosanto “principio di precauzione” che, a fronte dei rischi e delle incognite in gioco, soprattutto quando c’è l’uomo di mezzo, chiede alla ricerca scientifica di “rallentare” la marcia e, qualche volta, di mettere “in folle”, per poter consultare lo stradario, ponendosi una semplice domanda: sto percorrendo la strada giusta per la meta?