«Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio» (Lc 6,20)

VI Domenica del Tempo Ordinario

«Maledetto l’uomo che confida nell’uomo» (Ger 17,5). «Guai a voi ricchi» (Lc 6,24). Sono parole dure come pietre che confutano altre parole che riempiono il nostro quotidiano. In una società che pone al primo posto l’accumulo di beni e l’autosufficienza, Dio continua ad affermare che il vero potere è la fiducia in Lui; in un mondo dove i poveri sono disprezzati e ignorati, Dio li proclama beati. Come Geremia, anche Gesù ricorda che l’essere umano è creatura e solo nel riconoscere il proprio limite può abbracciare la vera grandezza: essere-per-gli-altri.

Il vangelo, su cui concentriamo la nostra attenzione, vuole aprire i nostri occhi con una terapia d’urto: Guai a voi ricchi, voi sazi, voi che basate la vostra identità sui “like” ricevuti e sul consenso popolare!  Se la versione di Matteo sembra più comprensibile perché non riporta i «guai» e sembra spiritualizzare concetti difficili (Mt 5,1-12), Luca è brutale: «Beai voi, poveri…voi, che ora avete fame…voi, che ora piangete…voi, quando gli uomini vi odieranno…». L’evangelista non intende, tuttavia, affermare che Dio vuole la sofferenza delle proprie creature. Contrariamente a Matteo e Marco (Mt 26,11; Mc 14,7), Luca non scrive che i poveri saranno sempre tra noi, perchè crede che nella comunità del Risorto non ci saranno più bisognosi (At 4,34); considera, infatti, la povertà il sintomo di una società malata, il segno dell’ingiustizia presente in un mondo che ha cessato di essere fraterno. Per questo condanna ripetutamente l’accumulo della ricchezza (Lc 16,1-15) e pone nella condivisione dei beni la sorgente della comunione e la verifica della propria appartenenza a Cristo (At 4,34-35; Lc 19,8).

Come possiamo dunque interpretare queste parole? La sequenza incalzante di “voi” indica che erano dirette primariamente a coloro che seguivano Gesù, ad una moltitudine di malati in cerca di guarigione, di persone tormentate da “spiriti impuri” in cerca di libertà (6,18-19). Gesù si rivolge ad ognuno di loro chiamandoli “beati” perché nella loro realtà di miseria, fame, disperazione, il Regno è già presente. Come proclamato nella sinagoga di Nazaret, Gesù è venuto per portare una notizia di gioia a emarginati e scartati: Dio si è fatto uno di voi (4,18-19)!Al Giordano il figlio di Dio si mette in coda con i peccatori; mangia con pubblicani e prostitute; tocca lebbrosi e morti rendendosi impuro secondo la legge. Rifiuta la teoria della retribuzione e sceglie di sperimentare il dolore come via per una incarnazione totale: piange davanti alla tomba dell’amico morto, sperimenta l’abbandono degli amici e del Padre e muore solo su una croce nel disprezzo della folla. Gesù morendo si fa veramente “carne” (Gv 1,14), uno con noi.

Da questo modo di essere di Dio, sgorga la nostra identità di discepoli: servire gli ultimi, essere voce di chi non ha voce, abbracciare uno stile di vita sobrio, che fa della condivisione solidale uno stile di vita, è parte integrante del nostro essere cristiani. La conseguenza di questa scelta è espressa nell’ultima beatitudine: come Gesù ha provocato opposizione perché era, e rimane, «segno di contraddizione» (Lc 2,34), coloro che scelgono di divenire un’estensione della sua umanità saranno rifiutati e perseguitati. Ma il vangelo ci assicura che persino il tempo della persecuzione è tempo di gioia, perché è il tempo della conferma della propria identificazione con Gesù e con la volontà del Padre.

Chiediamoci dunque: Da che parte sto? In quale ‘parola’ credo?