I Giardini Vaticani, cuore verde della Santa Sede

Iniziamo una nuova rubrica dedicata ad alcune tra le tante meraviglie naturali, architettoniche e artistiche della Santa Sede che meritano di essere visitate durante l’Anno Santo: i Giardini Vaticani. Ripercorriamo le principali tappe che hanno segnato la nascita e lo sviluppo di questo “cuore verde” che circonda i palazzi papali, offrendo informazioni storiche utili ai nostri lettori. Questa prima puntata si concentra sul periodo che va dall’età classica fino agli albori del 1300, prima dell’inizio del periodo noto come “cattività avignonese”.

I quarantaquattro ettari di superficie sui quali si estendono i Giardini Vaticani sono uno straordinario luogo di incontro fra natura, arte e fede. Il paesaggio, curato con amore e dedizione, accoglie le opere di tanti artisti e architetti che, spinti dalla profonda fede in Dio, hanno dato vita alle loro incredibili creazioni. È possibile ammirare piante e specie mediterranee, ma anche tipi esotici importati da continenti lontani, prati verdeggianti, alberi secolari, siepi e boschetti. I giardini sono una concentrazione unica di strutture architettoniche, di tempietti, di casine, di grotte, di fontane, di torri, di antiche mura, di statue (spesso imitazioni di quelle greche), di reperti archeologici e di grotte dedicate alla Madonna. Sono tutte opere che ricordano eventi e personaggi legati alla bimillenaria storia della Chiesa. I giardini sono composti da varie zone (Giardino all’italiana, Giardino all’inglese, Orto del Papa), accolgono vari uffici statali (Palazzo del Governatorato, Tribunale di Stato, direzione di Radio Vaticana, Stazione ferroviaria Vaticana e Specola Vaticana) e sono sede dell’eliporto, del Collegio Etiopico e del Monastero Mater Ecclesiae. Sono un’oasi di pace nella quale i pontefici hanno sempre trovato un rifugio tranquillo, in cui poter trascorre del tempo per riflettere e per riposare. “Il giardino rappresenta il più puro dei piaceri umani e il più grande ristoro per lo spirito” disse Sir Francis Bacon, filosofo inglese vissuto nella seconda metà del cinquecento.

La loro storia affonda le radici in epoca classica, quando la zona verde, su cui si svilupperanno i futuri giardini del papa, era separata dal tessuto urbano, e comprendeva delle alture e un settore pianeggiante con acquitrini che si formavano nei periodi delle piene del Tevere, invaso da canneti e da rari filari di vigna. In origine e durante i primi decenni della repubblica romana, si utilizzava il termine hortus per indicare un appezzamento di terra, cinto da mura e annesso alla casa di campagna o alla dimora poco distante dalla zona urbana, in cui venivano coltivate piante e ortaggi per scopi alimentari e per il sostentamento dei contadini. Successivamente alla conquista della Grecia nel II secolo a.C., i romani iniziarono ad assimilare conoscenze scientifiche, botaniche e terapeutiche. Il processo di ellenizzazione toccò tutte le fasce sociali e la cultura agreste fu invasa dall’arte naturalistica greca e orientale, in particolar modo egiziana e persiana. Una prima rivoluzione fu l’introduzione della coltivazione di alberi da frutto, di vigneti, di uliveti, di cipressi e cespugli in una o più parte di questi horti, per scopi ornamentali. Alla fine dell’era repubblicana nel I secolo a.C., molti personaggi storici vollero possedere, oltre alle loro lussuose residenze, anche i loro horti, che furono allestiti dentro il peristilium, il cortile porticato su cui si affacciavano tutte le stanze della domus. Questo tipo di giardino dentro l’atrio porticato prese il nome di viridarium. Il primo scrittore che parlò di un hortus romano fu Plinio il Vecchio, che citò nei suoi scritti il giardino di Tarquinio il Superbo, settimo e ultimo re di Roma. All’epoca di Marco Terenzio Varrone (116 a.C.-27 a.C.) l’hortus divenne un enorme giardino che cingeva la villa padronale e si tramutò in un luogo idilliaco e mitologico, costruito in aree suburbane per permettere agli aristocratici di vivere lontano dai rumori della città. La parte più consistente di queste zone verdi era la vegetazione, spesso adattata in forme geometriche o animali, secondo l’ars topiaria di Gaius Matius (tecnica consistente nel potare alberi e arbusti per conferirgli una forma precisa per scopi ornamentali). Il primo che ebbe un horto fu Lucullo (117 a.C.-56 a.C) il quale, dopo il trionfo nel 63 a.C. su Mitridate, al termine dei conflitti tra la repubblica romana e il Regno del Ponto, fece edificare la sua casa e, con essa, gli Horti (Horti Luculliani) sulle pendici del Pincio. Questi ultimi inglobavano un grande giardino con tante statue, vialetti alberati, fontane, conchiglie, ninfe, eroti, giochi di zampilli, siepi, balaustre, alberi esotici, ruscelli ed esedre. Subito dopo Sallustio (86 a.C.-34 a.C.) fece costruire i più grandi e ricchi parchi romani (Horti Sallustiani) sempre sul Pincio, chiamato da quel momento in poi collis hortularum, la collina degli orti su sui sorsero altre fastose dimore come quelle di Scipione Emiliano e di Pompeo. Gli Horti Sallustiani coprivano una vasta area a nord-ovest di Roma, comprendevano tre grandi terrazze immerse nel verde, accoglievano un tempio dedicato a Venere Ericina, un ninfeo adrianeo, tante statue e l’Obelisco Sallustiano (ora a Trinità dei Monti). I giardini divennero presto il rifugio degli imperatori e si contraddistinguevano per bellezza e cura, per ordine e armonia. Dopo la morte di Sallustio vennero ampliati e abbelliti più volte, restando sempre nel demanio imperiale. Vespasiano e Tito vi soggiornarono, Nerva vi morì, Adriano li arricchì di opere d’arte, mentre Aureliano li preferì al Palatino, costruendovi il Porticus Miliariensis (un portico pavimentato di marmo giallo). Durante l’età imperiale (31 a.C. – 476 d.C.) videro la luce altre “villae” e “horti” con immensi giardini, tra cui quelli posseduti da Agrippina maggiore (14 a.C. – 33 d.C), madre di Caligola (12 d.C. -41 d.C), detti appunto “Horti di Agrippina”, e quelli di Domizia Longina (53 d.C.-128 d.C.), moglie di Domiziano (51 d.C.-96 d.C.), detti “Horti Domitiae” (in seguito “Prata Neronis” o “Prati di Nerone”), sorti vicino alle pendici del Gianicolo e del colle vaticano. Gli Horti di Agrippina rappresentavano il possedimento più grande e importante dell’Ager Vaticanus, la zona suburbana situata sulla riva destra del Tevere, davanti a Campo Marzio, compresa tra i Monti Vaticani e il fiume. Ce ne danno testimonianza varie fonti storiche, tra cui quelle di Filone Alessandrino e di Seneca, e il rinvenimento di svariati reperti archeologici. Quest’immensa villa comprendeva anche una terrazza, un Porticus affacciato sulla riva del Tevere, un complesso noto come “Palatium Neronis”, situato tra il Gianicolo e il Vaticano, e il grande “Circo Vaticano”, commissionato da Caligola ed esteso sul suolo su cui oggi sorge la Basilica di San Pietro. Rientravano negli Horti di Agrippina anche le strutture scoperte sotto l’ospedale di Santo Spirito, i resti della grande domus, scavata dalla Soprintendenza presso il traforo gianicolense, una vasca di marmo riportata alla luce con scene marine scolpite del I secolo d.C., ambienti con affreschi di motivi architettonici, floreali e di uccelli, marmi preziosi, capitelli, la celebre Venere Capitolina, la statua di Venere Charis, e tanto ancora. Divennero  famosi anche gli Horti Cesariani, Liciniani, Pallantiani e Pompeiani. Un’evoluzione in direzione di una maggiore sistematizzazione di quelli che diventeranno i giardini vaticani si ebbe con Costantino (274 d.C.-337 d.C.) che, dopo aver concesso la libertà di culto ai cristiani, ordinò un intervento di sbancamento della collina per la costruzione della Basilica di San Pietro, eretta tra il 326 e il 333 sulla sepoltura dell’apostolo, intorno alla quale esistevano solo case per custodi e preti. I papi risiedevano nel Patriarchio del Laterano, vicino la grande Basilica dedicata al Santissimo Salvatore e a San Giovanni, dove rimasero fino al 1200. Si recavano ugualmente a San Pietro per celebrare le funzioni religiose, o per occasioni particolari come l’incoronazione di un imperatore. All’inizio la basilica vaticana non aveva alcun muro di protezione, perché i papi e gli imperatori non ne vedevano la necessità. Con la crisi che portò alla caduta dell’Impero romano d’Occidente la situazione cambiò radicalmente. Nel 410 i Visigoti depredarono Roma ma Alarico ordinò di non toccare l’edificio di culto. Nel 455 i Vandali di Genserico si appropriarono di tutte le ricchezze presenti nella Città Eterna, ma la Basilica continuò sempre a restare in piedi. La prime costruzioni rilevanti, in seno ai giardini vaticani, sono attribuibili ai papi Leone I (390-461) e Simmaco (498-514). Il primo riuscì a salvare le vite degli abitanti dell’Urbe dalla furia omicida dei Vandali, evitando perfino la distruzione degli edifici di San Pietro, di San Paolo e di San Giovanni in Laterano, mostrando una certa autorità morale e un’indiscussa determinazione anche negli affari temporali. Tra le opere che avviò vi furono una chiesa eretta sulla tomba di Papa Cornelio sulla Via Appia, la ricostruzione del tetto della Basilica di San Paolo fuori le mura e la restaurazione della Basilica Vaticana. Il secondo, nella dura lotta contro gli avversari bizantini che elessero un antipapa, fu il primo pontefice a trasferirsi nei pressi della Basilica di San Pietro, che abbellì con marmi e mosaici, oltre ad erigere oratori e chiese come quella di Sant’Andrea. Furono i saraceni che, nell’846, invasero Roma e saccheggiarono terribilmente la Chiesa eretta in onore a Pietro. In seguito a questo triste evento, e per evitare che altri fatti simili potessero verificarsi nuovamente, papa Leone IV fece innalzare, nell’852, una prima cinta muraria intorno al colle vaticano a protezione dell’edificio religioso. Le mura leonine erano lunghe 5 chilometri e alte 14 metri, partivano da Castel Sant’Angelo per andare a circondare e a proteggere la chiesa e le altre costruzioni ad essa connesse in tutto il loro perimetro, richiudendosi a ferro di cavallo in direzione del Tevere. Al loro interno si trovavano orti e terreni coltivati con vigne e frutteti, tra cui gli “orti di Nerone” nei quali si dice vi furono martirizzati dei cristiani per volontà del dispotico sovrano. All’esterno, invece, si estendevano prati e boschi che andarono a costituire il primo nucleo dei Giardini Vaticani. Agli inizi del 1200 ci fu un ulteriore arricchimento dei giardini, in stretta connessione con il trasferimento dei pontefici dal Patriarchio in Vaticano. Innocenzo III (1161-1216) fece costruire un primo palazzo sul Mons Saccorum, una collina posta sul fianco destro della Basilica dentro le mura leonine. Alcuni anni dopo papa Niccolò III Orsini (1277-1280) decise per primo di risiedere in Vaticano, ampliando e consolidando l’edificio voluto da Innocenzo III con una struttura fortificata con torri, grande abbastanza per ospitare tutta la curia pontificia. La cinta delle mura leonine fu allungata fino a toccare il monte di Sant’Egidio, dando così avvio all’esistenza vera e propria dei Giardini Vaticani. Accanto al palazzo Niccolò III fece impiantare un primo frutteto (pomerium) e un giardino (viridarium), in cui si trovavano un prato, una fontana e tanti alberi di alto fusto. Il suo successore, Niccolò IV Masci (1227-1292), vi creò il primo orto botanico d’Italia (pratellum) in cui, secondo alcuni studiosi, i medici pontifici avrebbero coltivato piante medicinali seguendo la tradizione dei monasteri benedettini. Le piante per scopi terapeutici sono state reimpiegate in varie occasioni, per il restauro e il recupero di diversi monumenti interni ai giardini del Papa.