La coscienza sommersa: quale attività cerebrale?

Uno studio dimostra come almeno un quarto delle persone con lesioni cerebrali sia in realtà cosciente, anche se non risponde agli stimoli.

Le gravi lesioni cerebrali rappresentano una delle sfide più complesse in ambito medico, non solo per le difficoltà diagnostiche, ma anche per le implicazioni etiche e terapeutiche che ne derivano. Fino a poco tempo fa, si riteneva che molti pazienti con gravi danni cerebrali, incapaci di rispondere fisicamente ai comandi, fossero privi di coscienza. Tuttavia, un recente studio su larga scala ha messo in discussione questa concezione, rivelando che un quarto di questi pazienti potrebbe essere, in realtà, cosciente.La ricerca, pubblicata sul prestigioso “New England Journal of Medicine”, ha analizzato 353 persone con lesioni cerebrali causate da traumi, arresti cardiaci o ictus. Tra queste, 241 erano incapaci di rispondere a test standard di reattività, come alzare un pollice su richiesta.Nonostante l’assenza di risposta fisica, il 25% di questi pazienti ha però mostrato segni di attività cerebrale significativa durante la scansione cerebrale, suggerendo una forma di coscienza residua. Questo fenomeno, noto come “dissociazione cognitivo-motoria”, indica la capacità di un individuo di elaborare mentalmente comandi, ma non di tradurli in movimenti fisici.I partecipanti allo studio sono stati sottoposti a due tipi di scansioni cerebrali: la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e l’elettroencefalografia (EEG). La fMRI misura indirettamente l’attività cerebrale rilevando i cambiamenti nell’ossigenazione del sangue, mentre l’EEG registra direttamente l’attività elettrica del cervello attraverso elettrodi posizionati sul cuoio capelluto. Durante le scansioni, i pazienti venivano invitati a immaginare di svolgere attività fisiche, come giocare a tennis o muovere una mano, compiti che richiedono un certo grado di attività cerebrale.Tra i pazienti fisicamente non reattivi, circa un quarto ha mostrato una risposta cerebrale coerente, suggerendo che questi individui potessero essere coscienti nonostante l’incapacità di manifestarlo fisicamente. È interessante notare che anche tra i pazienti che erano in grado di rispondere fisicamente, solo il 38% ha mostrato una risposta cerebrale costante, a testimonianza della difficoltà dei test stessi.Questa scoperta ha importanti implicazioni per la diagnosi e il trattamento delle persone con lesioni cerebrali gravi. Identificare pazienti coscienti potrebbe aprire la strada a nuove forme di comunicazione e riabilitazione, sfruttando tecnologie come le interfacce cervello-computer (BCI). Questi dispositivi, impiantati sulla testa del paziente, possono decodificare l’attività cerebrale e tradurla in comandi operativi, come il movimento di un cursore su uno schermo. Potenzialmente, le BCI potrebbero consentire a queste persone di comunicare con il mondo esterno, migliorando significativamente la loro qualità di vita.Il neurologo Nicholas Schiff della Weill Cornell Medicine di New York, responsabile dello studio, sottolinea l’importanza di investire risorse per identificare e assistere queste persone. Non si tratta solo di una questione tecnologica, ma anche di un cambiamento di paradigma nella gestione clinica e nelle decisioni relative al supporto vitale e alle cure a lungo termine.Lo studio, pur innovativo, presenta comunque alcuni limiti. La variabilità nei compiti assegnati durante le scansioni e nelle attrezzature utilizzate potrebbe infatti aver influenzato i risultati. Tuttavia, sia Schiff che il neurologo Daniel Kondziella, co-autore dello studio e specialista presso il Rigshospitalet di Copenaghen, concordano che i tassi di dissociazione cognitivo-motoria rilevati potrebbero essere sottostimati. Se tutti i pazienti fossero stati testati con entrambi i metodi, EEG e fMRI, i risultati avrebbero potuto rivelare una percentuale ancora maggiore di pazienti coscienti.Nonostante queste limitazioni, i risultati dello studio rappresentano un importante passo avanti nella comprensione delle lesioni cerebrali gravi e della coscienza. La ricerca futura dovrebbe concentrarsi sul monitoraggio a lungo termine di questi pazienti per comprendere meglio le traiettorie di recupero della coscienza. Come osserva Kondziella, c’è ancora molto da scoprire sulle diverse modalità di recupero e sull’impatto delle varie tipologie di lesioni cerebrali.