La situazione carceraria in Italia

Mi pare di poter dire che la situazione oggi nelle carceri in Italia sia giunta al totale collasso per una serie di fattori e di conseguenze a dati che non sono più tollerabili: si parla di sopraffollamento, ma questo è solo uno dei fattori. 

E’ duro il commento di sr. Nicoletta Vessoni, operatrice da 11 anni in carcere a Catanzaro e responsabile nazionale delle religiose che lavorano nei penitenziari in Italia che ha portato la sua testimonianza la settimana scorsa al Consiglio Nazionale della Fisc mentre nelle settimane scorse aveva promosso un convegno sulla giustizia riparativa a Catanzaro e Lamezia. “Non parliamo poi – spiega la religiosa delle Suore delle Poverelle di Bergamo – della situazione sanitaria che è gravemente al collasso. La mancanza di opportunità lavorativa all’interno degli istituti mette tutti in grande affanno. Il rallentamento dell’applicazione di misure alternative ingolfa e mette in grosse difficoltà la vita all’interno degli istituti”.

E in Calabria dove Lei svolge il suo servizio qual è la situazione?

“Credo di poter dire le medesime cose, anche se la direzione si mobilita parecchio per trovare soluzioni e opportunità di superare i vari ostacoli. La funzione del carcere, oltre ad essere un monito al rispetto delle leggi per il potenziale criminale, è quella di reinserire il detenuto”. 

Nell’odierna realtà è possibile? Quali le lacune? 

“Le lacune credo siano quelle della carenza di risposte e risorse che permettano il reinserimento del detenuto. Il privato sociale, la Chiesa credo dovrebbe essere molto attenta e attiva in questa direzione, come è sempre avvenuto nella storia. Prima che lo Stato crei le risposte la dimensione profetica della Chiesa dovrebbe venire in aiuto e in supporto a carenze di strutture e opportunità”. 

Quale il ruolo oggi della Chiesa negli Istituti penitenziari?

“Il ruolo della Chiesa all’interno dei penitenziari credo sia molto importante e grande. Il carcere è un luogo di solitudine di sofferenza di fatica esistenziale e quale luogo più idoneo perché la Chiesa ci sia? E ci sia con una presenza significativa, dove portare l’annuncio di Speranza e di misericordia. Il Papa parla delle periferie, del cercare i poveri. In carcere non c’è bisogno di cercarli: sono flotte che ti vengono incontro e che ti interpellano. Credo che la Chiesa dovrebbe sempre più esserci in una forma concreta e incisiva”. 

Cosa dovrebbero fare i cappellani e quale il ruolo del volontariato?

“I cappellani dovrebbero essere sempre di più dei ministri dispensatori di misericordia, dei buon samaritani che raccattano e sostengono le fatiche umane dei detenuti e molto spesso delle famiglie dei detenuti. Il cappellano credo che debba fare sempre più la differenza nell’essere presente in questo luogo. Il ruolo del volontario è molto importante e fa da supporto a quello che l’istituzione non può fare ma permette di animare sostenere spazi di accompagnamento, sostegno morale, opportunità di occupazione del tempo in modo significativo e costruttivo”.

La situazione carceraria non fa più notizia nonostante i suicidi, il sovraffollamento, etc: è un “territorio” sconosciuto o se ne vuole stare lontano?

“Credo si preferisca non parlarne o almeno non parlarne in modo significativo e reale, un pò come si fa con tutte le dimensioni che la società non vuole farsene carico. Credo sia molto importante, e credo che sia compito anche della Chiesa e del mondo del volontariato parlarne, dare voce a chi non ha voce, diventare grilli parlanti di una parte di umanità che vive in grande affanno fino a giungere a comportamenti estremi”.

Lei ultimamente si è fatta promotrice di alcuni incontri sulla giustizia riparativa: è possibile? A che punto siamo? E in Calabria?

“Poco mi sono inoltrata in questo tema che mi fa un po’ riflettere e mi spiego: la giustizia riparativa come io l’ho avvicinata, tramite Agnese Moro e i suoi collaboratori ha un certo spessore che credo diventi una svolta nella vita degli uni e degli altri. Il rischio è che la giustizia riparativa diventi si un tentativo ma molto limitato e forse semplicemente utilizzato. Parliamo di  una presa di consapevolezza della propria responsabilità di gesti che hanno leso la vita di persone o comunque atti che hanno inciso negativamente nella vita della società. Credo che non possa essere un percorso di sei sette incontri molto spesso svolti e vissuti nel desiderio che quel percorso incida sulla riduzione di pena. Credo che la giustizia riparativa sia una grande bella opportunità ma vissuta nella grande serietà e in un percorso molto significativo per poter incidere realmente nella coscienza di chi si appresta a vivere un cambiamento di vita”.