4/4. Giornata della Memoria. Quel 27 gennaio di ottant’anni fa da non dimenticare

Lettera inedita di Primo Levi sugli orrori di Auschwitz indirizzata all’amica partigiana Bianca Guidetti Serra

Come ogni anno il 27 gennaio si celebra la Giornata della Memoria, la ricorrenza internazionale istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2005 per ricordare la Shoah e tutti i deportati nei campi nazisti (introdotta in Italia con la Legge n. 211 del 20 luglio 2000). A distanza di ottant’anni è impossibile dimenticare il tetro spettacolo che si presentò al mondo, quando le truppe dell’Armata Rossa raggiunsero e invasero il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau il 27 gennaio 1945. Una parte dei sopravvissuti iniziò una lunga marcia verso ovest che, nella maggioranza dei casi, si concluse con la morte per stenti e per il freddo. Alla fine della guerra si contarono circa sei milioni di ebrei morti in Europa. La storia deve insegnare l’avversione verso qualsiasi forma di intransigentismo religioso e razzista e verso ogni forma di antisemitismo, benché non manchino purtroppo dimostrazioni simili al giorno d’oggi. L’eredità di Auschwitz non deve indurre a forme di ossessivo sentimentalismo, ma deve far ragionare sul fatto che il genocidio degli ebrei è un viaggio traumatico nelle tenebre di un’intera civiltà e di tutta l’umanità, un viaggio da non ripetere mai più perché ciò che conta, in realtà, è riscoprirsi giorno per giorno come esseri umani con pari diritti e dignità, con valori e senso di rispetto e tolleranza verso qualsiasi razza, lingua e cultura.

In occasione della Giornata della memoria di quest’anno vogliamo far riferimento ad una lettera inedita scritta da Primo Levi e datata 27 aprile 1945, quindi tre mesi dopo la liberazione di Auschwitz

Come tutti sanno, lo scrittore Primo Levi ha offerto una delle più alte testimonianze sulla tragica realtà dei lager in Se questo è un uomo (1947), nel quale ha descritto la sua esperienza di deportato ebreo ad Auschwitz. Le frasi contenute in questo celebre testo servono da monito, affinché nessuno dimentichi l’Olocausto e ciò che ha rappresentato per il mondo. Levi ricorda che “nell’odio nazista non c’è razionalità: è un odio che non è in noi, è fuori dell’uomo”. Questa lettera inedita datata 27 aprile è la prima che il torinese inviò in Italia dopo la liberazione dal lager. È indirizzata all’amica e partigiana Bianca Guidetti Serra. La missiva fa parte della mostra Giro di posta. Primo Levi, le Germanie, l’Europa, inaugurata il 23 gennaio a Palazzo Madama a Torino e aperta dal 24 gennaio fino al 5 maggio. Con questo testo di due pagine Levi informa l’amica su quanto gli sia capitato nel corso del suo ultimo anno di vita, riferendosi anche alle persone che sono partite con lui da Fossoli, all’arrivo dei russi, al tatuaggio al braccio “segno di infamia”. Pubblichiamo di seguito quest’epistola poco conosciuta che anticipa il ben più noto Se questo è un uomo. Lasciamo ai nostri lettori la libertà di ragionare sull’importanza di preservare la memoria, e su quanto debba essere fatto ancora per rimarginare le ferite sanguinanti di un pezzo di storia che ci parla sempre.

KATTOWICE, 6 giugno 1945 – Bianca carissima, finalmente mi si presenta un’occasione di comunicare con l’Italia con una certa garanzia di arrivo a destinazione. Io non accompagno il latore della presente che viaggia con mezzi suoi solo perché le finanze non me lo permettono, ed inoltre perché il giorno del rimpatrio collettivo sembra prossimo. Come i pochi compagni italiani superstiti, io sono vivo per miracolo. Al momento in cui i tedeschi hanno abbandonato l’Alta Slesia, io ero convalescente di scarlattina nell’Ospedale di Monivitz con altri ottocento malati; pare che i tedeschi avessero ordine di ucciderci (come fecero altrove in altre circostanze) e forse non ne ebbero il tempo. Sono riuscito a sfamarmi alla meglio, per dieci giorni sfuggendo a un tremendo bombardamento, poi il 27 gennaio, sono arrivati i russi.

Dopo parecchi pellegrinaggi, sono finito qui, in un campo cosiddetto “di attesa”. Effettivamente, tutti gli stranieri che hanno soggiornato qui sono stati smistati verso le relative patrie, solo gli italiani attendono ancora. Di coloro che partirono con me da Fossoli siamo ora qui in sei. Degli inabili al lavoro (donne, vecchi, bambini) non abbiamo che pochissime notizie, risulta purtroppo certo che Vanda Maestro è morta. Luciana Nissim partì in settembre per Breslavia: forse si è salvata. Di noi 95 del campo di Monivitz, 75 sono morti colà di fame e di malattia; quattordici furono deportati dai tedeschi in fuga (fra questi Alberto della Volta di Brescia, Franco Sacerdoti di Torino, l’ing. Aldo Levi di Milano, Eugenio Gluecksmann di Milano). Di loro non si hanno notizie sicure, ma corrono voci assai preoccupanti sulla loro sorte. Restiamo noi sei.

Qui non si sta male. Si mangia in abbondanza (ma la cucina russa richiede stomaci appositi) si dorme bene, non si lavora, si gode una certa libertà, per cui con un po’ di iniziativa si può circolare, pagarsi il lusso di qualche alimento extra, di qualche cinematografo, o almeno qualche visita economica turistica alla città. Siamo ora più di mille italiani, fra prigionieri di guerra, politici e “rastrellati”. La popolazione è molto benevola, i russi anche.

Non credere a quanto ho potuto scrivere da Monovitz; l’ anno passato sotto le SS è stato spaventosamente duro a causa della fame, del freddo, delle percosse, del pericolo costante di essere eliminato in quanto inabile al lavoro. Porterò (spero) in Italia il numero di matricola tatuato sul braccio sinistro, documento di infamia non per noi, ma per coloro che ora cominciano ad espiare. Ma la maggior parte dei miei compagni portano nelle carni più gravi segni delle sofferenze patite. Spero di poter salire presto la tradotta: ad ogni modo tieni presente che il servizio postale non è ancora regolare e ti sarei gratissimo se tu cercassi di affidare ad un polacco o un russo rimpatriante anche sommarie notizie delle mie carissime e di Voi tutti. Con l’ incarico una volta giunto in Polonia di scriverle indirizzando a Primo Levi, presso il Comitato Ebraico di qui. CENTRANLY KOMITET ZYDOW POLSKICH – KATOWICE ULICA MARIAWKA 21. Viviamo qui con l’ansia terribile di qualche vuoto al nostro ritorno: se fossimo rassicurati su questo, non ci sarebbe grave l’attesa. Ti prego tenta tutte le vie: Croce Rossa, Svizzera, i partiti: pensate alla nostra tremenda incertezza Il mio cuore è con Voi.