Attualità
Il Natale all’ospedale da campo è nei piccoli gesti
Il tenente colonnello Ramundo: “Abbiamo portato i pazienti al limite delle tende per vedere il sole. Nei loro occhi la commozione”
Nella tenda d’ingresso dell’Ospedale da campo di Cosenza la temperatura è di 25,5 gradi. Gli ambienti hanno un tepore che quasi non ti aspetti, vista la precarietà che suscita, a primo acchito, un ospedale fatto di tende. Il tenente Colonnello Nicola Ramundo, vice-direttore dell’Ospedale, ci attende all’ingresso e ci viene incontro, per poi portarci dentro. Due alberelli di Natale fanno bella mostra sulle scrivanie. Il personale medico è pronto ad accogliere un nuovo paziente. Quotidianamente, nella struttura dell’Esercito italiano, è un tripudio delle più diverse emozioni, quali provengono dall’umanità che si incontra con un virus così tanto subdolo. Ma è Natale e l’aria della festa quasi si sente, soprattutto nell’eco di quei valori che guidano i militari in quest’opera meritoria. Intanto, la bacheca si arricchisce sempre più dei messaggi di vicinanza e solidarietà del popolo cosentino.Il tenente colonnello Ramundo si concede ai nostri microfoni.Che Natale sarà qui?Sarà un Natale lontano dai nostri parenti e dai nostri affetti per tutti noi. Anche i pazienti saranno lontani dalle loro famiglie, per questo condivideremo il rapporto umano con loro. Con il Vescovo abbiamo organizzato un momento di preghiera e dedicheremo il tempo di questi giorni alla cura della persona e dei nostri pazienti con la consapevolezza che stiamo facendo qualcosa di importante. I nostri parenti e i parenti dei pazienti ne sono consapevoli.Una grande spinta, insomma.Stare dinanzi alla sofferenza e alla malattia ci porterà a essere persone migliori. Questa è un’esperienza che ci mette a dura prova, ma che ci farà crescere. Sarà un Natale di crescita.Qui dentro si sente l’aria del Natale?Forse quest’anno qualcuno la sta sentendo un po’ di più. Stiamo accendendo nel nostro animo i sentimenti dell’altruismo, dello stare vicino a chi ha bisogno. Il vero senso del Natale è proprio questo. Io sono un marito e un papà, e, nonostante sia lontano da casa mia, la mia famiglia avverte che sto facendo qualcosa di buono.Siamo abituati a regali, cenoni e veglioni. Ma qui tutto questo non succede. Durante la visita ai nostri pazienti possiamo fare tanti regali. Il più grande è la videotelefonata con i loro cari. Qui la giornata è scandita di piccoli gesti che riempiono il cuore. Nei giorni scorsi, dopo una settimana di pioggia, abbiamo voluto regalare ai nostri pazienti un po’ di sole. Così, un giorno abbiamo aperto le tende, mantenendo le distanze di sicurezza, e li abbiamo portati al limite della tenda, dove hanno potuto scorgere le colline innevate. Anche coloro i quali hanno problemi respiratori, allargavano le braccia e sgranavano gli occhi, commossi. Questo è stato un regalo per loro, ma anche per noi, che così capiamo meglio la malattia e la privazioni dei nostri pazienti e capiamo cosa significa per loro tornare a vedere la luce. Sentite la città vicina?La città è vicina, i colleghi dell’ospedale ci sono vicini. Abbiamo una forte interazione con i medici, gli infermieri dei vari reparti del SS. Annunziata, ma anche con i cittadini comuni che spesso ci scrivono biglietti di auguri e ci portano qualche piccolo dono anche della tradizione culinaria. Tutto questo ci dà una forza incredibile, soprattutto perché l’affetto ci fa sentire importanti e ci sprona a fare sempre meglio.Lei parla di tanti buoni valori. Quanto questi rendono migliore la missione di un militare? La nostra vita è piena di missioni. Personalmente ho visitato anche altri continenti e ogni missione ci arricchisce di valori. Questa è una guerra dentro casa nostra e la guerra porta, nella sofferenza, anche crescita, consapevolezza che bisogna superare gli ostacoli per ritornare a crescere e a essere migliori. Noi cerchiamo di dare alla cittadinanza il buon esempio di persone che lavorano con abnegazione. Questo esempio lo sentiamo riconosciuto. Spero che possiamo servire a dare forza anche a cittadini più deboli.